Scompare Roberto Maroni, tra i fondatori della Lega

Più volte ministro in dicasteri chiave, come Lavoro e Interno, ha mantenuto un’indipendenza di giudizio ed è rimasto allergico ai circoli ristretti del partito. Un pezzo di storia emblematica della svolta politica avvenuta con la cosiddetta seconda Repubblica
Foto storica di Roberto Maroni con Umberto Bossi (AP Photo/Luca Bruno, File)

Roberto Maroni, deceduto nella notte del 21 novembre 2022 a 67 anni di età, ha rappresentato il volto moderato della Lega.  Il partito più emblematico della cosiddetta seconda Repubblica sorta sul crollo del sistema ante Muro di Berlino. La Lega di Bossi e Maroni resta un fenomeno da studiare come movimento maturato per lunghi anni nel profondo e ricco Nord del Paese, tenuto a bada fino a quando è esistita la Dc come partito della Nazione.

Maroni è stato all’origine del fenomeno leghista, quando con Umberto Bossi già nel 1979 fondò la società editoriale Nord Ovest e poi nel 1982 la Lega Lombarda.  Da adolescente era stato attratto dall’estrema sinistra, ma i fondamenti culturali li ha poi cercati nei libri di Gianfranco Miglio, il docente della Cattolica di Milano, esponente tra i più autorevoli del pensiero federalista. Ed è a questo autore degli Arcana Imperii che ha fatto riferimento nelle ultime interviste per suggerire a Matteo Salvini un punto di riferimento diverso dalla suggestione immediata dei social.

L’impegno politico, coltivato fin da giovane, su strade non tradizionali, nella sua Varese lo ha portato, poi,  a lasciare il lavoro di legale della multinazionale Avon per ricoprire la guida di importanti ministeri: due volte agli Interni  (1994-1995 e 2008-2011) e una volta per un lungo periodo al Lavoro (2001- 2006). Già vicepresidente del Consiglio dei Ministri (1994-1995) è stato presidente della Regione Lombardia (2013-2018), dopo essersi dimesso da segretario federale della Lega Nord (2012-2013).

Il sodalizio con Umberto Bossi ha conosciuto gli alti e bassi tipici in una dialettica interna ad una forza politica nata come forza di rottura, con tratti bruschi e riti druidici, per poi diventare un partito di governo nell’era di Berlusconi, l’ex imprenditore che è riuscito a federare la destra nazionalista con un partito federalista tentato dal separatismo. Significativo in questo senso la linea diretta che Maroni stesso ha detto di avere con Gianni Letta, il consigliere politico e la mente più lucida di Forza Italia con solidi legami negli apparati dello Stato.

A merito di Maroni va evidenziata la sua volontà di non riconoscere la prevalenza di “cerchi magici”, cioè di gruppi informali di potere intorno ai vertici del partito, a favore delle regole democratiche. Una dirittura di posizione che ha permesso alla Lega di risollevarsi  dopo gli scandali legati alla gestione amministrativa del partito. Ciò spiega anche le polemiche e le frizioni con Matteo Salvini esplicitate in particolare dopo le recenti deludenti elezioni politiche, in termini di consensi interni alla coalizione vincente, a favore di un cambio di guardia alla guida della Lega.

L’ultimo incarico che ha ricevuto è stato di commissario al problema del caporalato affidatogli  dalla ex ministra degli Interni, Luciana Lamorgese,  senza evidenti rimostranze o polemiche nel centro sinistra.  Segno della stima che Maroni poteva vantare al di là delle appartenenze nel contrasto alla mafia.

Ciò non toglie che, da ministro degli Interni, non abbia espresso la continuità della posizione della Lega verso i migranti. Durante il suo secondo mandato di ministro degli Interni, nel 2009 c’è stata una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per la mancata accoglienza di rifugiati somali, eritrei e libici respinti in Libia.

È stato durante la gestione del ministero del Lavoro da parte di Maroni che si è giunti all’approvazione della legge 30/2003  conosciuta come “Legge Biagi” ma più correttamente definibile “Legge Maroni” perché approvata e messa in pratica dopo l’assassinio, nel 2002, del giuslavorista bolognese ad opera di una frazione residua di brigatisti rossi.

Quel testo di legge è tuttora oggetto di polemiche sulla precarietà del lavoro e ha rappresentato la declinazione più significativa di una certa idea di flessibilità che parte dal pacchetto Treu del 1997.

Maroni si è distinto anche per altre attività esterne alla politica, prima tra tutte con un gruppo musicale di genere Soul, che ne hanno offerto un volto diverso.

Ha scritto anche diversi libri e, di sicuro l’ultimo, composto a quattro mani con Carlo Brambilla, è molto originale perché è un giallo spionistico intitolato “Il Viminale esploderà” che è tutto un programma, considerando la sua esperienza diretta di titolare di quel delicato ministero di solito riservato alla Dc fino al 1994.

L’anno, appunto, in cui un leghista, Roberto Maroni, ha rotto una lunga tradizione. Per questo e non solo la vicenda politica e umana del leader di Varese appartiene alla storia del nostro Paese.

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