Scommettere sull’Impresa Italia

Rimboccarsi le maniche per salvare il Paese è indispensabile. Non si può sperare solo in aiuti esterni: puntare a risorse interne e abdicare ai privilegi, alle furbizie e al non fare
Operatori in borsa

Di solito mettere dei soldi in un’impresa in crisi che poi si riprende è un buon affare. Ma come si fa a sapere prima se si riprenderà? Una cosa però si può dire: la probabilità che quell’impresa ce la faccia sarà tanto più grande quanta più gente sarà disposta a scommettere sulla sua ripresa.
La particolare impresa di cui vorrei parlare, si è già capito, è l’Italia. La crisi è evidente. E di gente ansiosa di scommettere su questo cavallo ce n’è poca: pochi gli investitori finanziari, preoccupati da un debito pubblico gigantesco e dall’instabilità della politica; poche le nuove iniziative produttive, per una lunga serie di ragioni, tra cui, non ultima, la difficoltà di ottenere credito; pochi anche gli investitori immobiliari, timorosi che i prezzi calanti non ripaghino l’alto costo di costruire o ristrutturare.

Il pulmino Italia Se stessimo parlando di una piccola o media impresa, per spezzare il circolo vizioso della crisi potrebbe bastare la disponibilità anche di un piccolo gruppetto di volonterosi finanziatori. Ma quando si tratta di un intero Paese delle dimensioni del nostro, per rimetterlo in piedi occorre il concorso di molti soggetti. E qui le cose si complicano. Pensiamo ad un pulmino fermo con la batteria scarica a pochi metri da un passo alpino. “Che facciamo, proviamo a dargli una spinta?” Se saranno in tanti a credere che è possibile farcela, e poi scenderanno davvero a spingere sotto la pioggia, è facile che si riesca a scollinare, dopodiché è fatta. Ma se prevarranno i pigri o i pessimisti occorrerà attendere pazientemente che arrivi un carro attrezzi. E se pochi ardimentosi proveranno a spingere lo stesso, mentre gli altri guardano, otterranno solo di bagnarsi, infangarsi e farsi ridere dietro.

Se non sulla buona volontà di noi stessi, c’è qualcun altro su cui possiamo riporre le nostre speranze per uscire dal tunnel? Forse lo Stato? Purtroppo no! O, per lo meno, non molto.  Il principale compito che, dopo la tragica esperienza della Grande Depressione, abbiamo imparato ad affidargli, nei momenti in cui l’economia ristagna, è quello di spendere di più e di tassare di meno. Ma questo, dopo troppi anni di finanza allegra, lo Stato italiano oggi non può permetterselo.

Speculatori in pole position Forse dai nostri guai può salvarci la speculazione finanziaria? In teoria sì. Se, anziché giocare al ribasso sui nostri titoli pubblici, i mercati si mettessero a giocare al rialzo, i rendimenti scenderebbero e i conti del Tesoro migliorerebbero; questo basterebbe per far rientrare l’allarme e pian piano le cose potrebbero tornare a posto. Ma di solito alla speculazione un segnale di cambio di direzione deve prima darlo qualcun altro; solo a quel punto gli operatori, intuendo che la quotazione di borsa dei nostri titoli è destinata a salire, si butterebbero a comprare, accelerandone il rialzo.

Altolà tedesco Forse può salvarci l’Europa, garantendo lei i nostri debiti in un modo o nell’altro? Forse, ma i tedeschi non provano nessun entusiasmo all’idea di pagare loro per le nostre stravaganze passate (come la trovata di mandare la gente in pensione all’età di 40 anni) o i nostri peccati presenti (si pensi alle ampie sacche di evasione fiscale che ancora permangono). E se accetteranno di farlo sarà solo dietro precise garanzie.

Cina e Russia? Resta ancora una grande istituzione che qualcosa può fare, la Banca Centrale Europea, ma il suo compito non è finanziare i Paesi in crisi, per cui i suoi interventi possono solo contrastare improvvisi fenomeni di instabilità dei mercati finanziari o sopperire a possibili mancanze di liquidità. Preferirei invece non parlare del Fondo Monetario Internazionale, perché chiedere il suo intervento equivarrebbe a dichiarare che la malattia è praticamente incurabile; come lo dichiarerebbe una possibile salvezza proveniente dalla grandi riserve valutarie della Cina e della Russia.
Eppure basterebbe che davvero lo volessimo. Se scendessimo tutti in strada con le maniche rimboccate il pulmino Italia gli ultimi metri di salita potrebbe superarli agevolmente. In altre fasi storiche (pensiamo alla ricostruzione post-bellica)  le maniche gli italiani se le sono rimboccate alla grande, individualmente e collettivamente, e il pulmino è stato proiettato di slancio oltre il culmine di una salita ben più dura. 

Le furbizie In gioco c’è il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, e, non dimentichiamocelo, anche quello dei loro coetanei. Dovrebbe bastare questo per far capire che la strategia di salvare se stessi “e gli altri si arrangino” è una non soluzione. Volendo, i modi per esportare i capitali (per chi li ha) si trovano; qualche trucco per non pagare i servizi fingendosi nullatenenti forse è ancora possibile; scendere in piazza contro qualunque riforma che intacchi i miei privilegi è una strategia che nell’immediato può rendere. Ma così il paese andrà a picco e, mettiamola pure in brutali termini di soldi, a picco andrà anche il valore delle nostre proprietà immobiliari.

Le opportunità Ragioni di speranza e carte da giocare nonostante tutto ce ne sono. Il debito pubblico italiano è grande, ma la ricchezza del paese è ben più grande (oltre 4 volte). Mentre continuiamo penosamente a chiedere nuovi aiuti ci sono decine di miliardi di fondi europei inutilizzati (pure in questo siamo tra i peggiori nell’Unione) che possono essere spesi per finanziare progetti. Anche se lo Stato ha pochi soldi da spendere, può lo stesso mettere in moto grandi investimenti finanziati dai privati creando il contesto normativo in cui ciò possa avvenire (è questo il caso delle grandi reti telematiche). Un’altra opportunità da cogliere, presto e bene, è quella della vendita del patrimonio pubblico. Nonostante tutto, ragionevoli opportunità di spesa per i privati non ne mancano. Pensiamo solo al grande campo dell’isolamento termico delle abitazioni: un investimento accessibile e conveniente (anche perché incoraggiato da una cospicua detrazione) per una grandissima platea di privati cittadini. E poi ci sono le imprese, spesso incerte tra la prospettiva di rilanciare (che significa innovare, acquistare, assumere,…) e la tentazione di non fare. Le situazioni sono varie, ma spesso un margine di manovra c’è. Mi ha colpito a questo riguardo una frase di un dirigente di una media impresa: “Ci sono molti ragazzi a spasso con ottimi titoli di studio e noi abbiamo bisogno di nuove idee. Non so cosa ne verrà fuori, ma su un paio di giovani un po’ di soldi possiamo provare a giocarceli.” 

L’esempio della politica Ma un Paese come il nostro, inebetito da una delle peggiori televisioni del continente, profondamente deluso dalla politica, confuso da una crisi che fatica a capire, riuscirà a trovare la determinazione per compiere quello sforzo collettivo che la situazione richiede? La storia elenca molti principi arrivati al trono del tutto impreparati, che poi riuscirono  ad essere dei bravi re. Forse anche la classe politica italiana, pur priva in molti suoi componenti delle caratteristiche desiderabili per chi deve svolgere un ruolo di responsabilità e di servizio, può fare uno scatto di reni e creare le condizioni perché l’Italia si rialzi. Ma c’è ancora qualcosa che deve fare per essere credibile. Tagliare i suoi privilegi fino al punto da poter guardare in faccia senza vergogna chi aspetta da mesi e mesi di essere pagato da qualche amministrazione pubblica o chi si è visto limare dal 2013 una pensione sotto i mille euro.
 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons