Scene da ultimo dell’anno

Lunga la tradizione di film che raccontano i preparativi per festeggiare l'arrivo dell'anno nuovo. In genere malinconici, ma non mancano quelli comici

Le storie su capodanno, soprattutto nei film italiani, parlano spesso di una serata storta, di un momento che voleva essere di trasgressione, di rottura con la routine, della ricerca di emozioni forti, ma che invece diventa un fallimento con capitombolo annesso. Già Alberto Sordi, nel 1959, in Vacanze d’Inverno di Camillo Mastrocinque, si ubriaca ad una festa tra i monti di Cortina, e tratta male la moglie al telefono, rimasta a Roma coi parenti nella semplicità più autentica. Sordi è il ragionier Moretti, che a contatto con l’alta società, e con la scossa elettrica dell’ultimo dell’anno, si sente altro rispetto alla realtà che gli appartiene e finisce per combinare solo guai.

Più in generale, la notte di San Silvestro, nel cinema italiano, è una nottataccia di avventure andate a male, a volte squallide, fallimentari, amare se non tristi, come in L’ultimo capodanno di Marco Risi, del 1998, dove nulla va come previsto a una fauna umana variegata. Il registro è quello del grottesco, mentre in certi casi viene raccontata con realismo una solitudine estrema, come quella, per esempio, di uno dei protagonisti de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana: il Matteo di Alessio Boni, che nei bagliori del capodanno si toglie la vita. È il caso limite, certo, l’iperbole per descrivere una festa anche malinconica, in cui bisogna festeggiare senza capire fino in fondo cosa, e può capitare di avere un senso di vuoto addosso, la nebbia nel cuore per qualcosa di piuttosto artificiale, superficiale. Anche per questo, forse, il cinema italiano, da sempre appassionato di realismo, ha messo in luce – a volte ridendoci su – certi aspetti contraddittori di questa ricorrenza priva della pienezza, del valore e del senso per esempio del Natale, o di altre feste cristiane, che se vissute spiritualmente in modo serio portano a un benessere profondo.

Ecco allora le malinconie del capodanno, ecco la solitudine del protagonista di Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, anche, che mentre tutti sparano e lanciano giù cocci dalle case se ne sta al freddo, ad aspettare che l’amata dia un segnale, che dica se il sentimento del ragazzo è ricambiato oppure no. Le persiane della giovane non si aprono, quella notte, e lui, deluso, mesto, rincasa a testa bassa, mentre i botti colorati accendono la notte. Cammina sconsolato come i protagonisti di un gioiello italiano del 1960: Risate di gioia di Mario Monicelli, commedia all’italiana con Totò e Anna Magnani (che insieme lavorarono solo quella volta). Lei é Gioia, una comparsa di Cinecittà che dei tizi hanno invitato a cena, salvo poi scoprire di essere tredici a tavola, con lei, e perciò la mollano a piazza Esedra. Povera, da sola, e allora, peregrinando per Roma, mentre tutta la gente si affanna a divertirsi, Gioia incontra il vecchio amico Umberto, un Totò come sempre immenso, qui attoraccio disgraziato pure lui, che per fame fa da spalla ad un ladruncolo in un veglione zeppo di gente a cui rubare qualcosa. Partono insieme, Gioia e Umberto, per un’odissea notturna di desolazione e smarrimento, tra spumanti, orchestrine, auguri e trombette di carta, come due minuscoli coriandoli di un’euforia collettiva triste, che porterà lei in prigione, all’alba del nuovo anno, e lui ad aspettarla, mesi dopo, per provare a fondere in relazione quella doppia solitudine.

Monicelli ha infilato un capodanno ancora più amaro, nero, agghiacciante, nella sua filmografia: in Parenti serpenti, durante il veglione di fine anno, i figli di un’anziana coppia brindano mentre gli attempati genitori saltano in aria per una bombola di gas (volutamente) difettosa. È il trionfo del vuoto di valori reso esplosivo da quell’attimo di zona franca, di spazio della libertà che può diventare deriva morale, visto che i figli, con rispettivi mariti e mogli, sono arrivati al doppio omicidio perché la mamma e il babbo avevano ormai bisogno di essere accuditi quotidianamente, perché vecchierelli, e nessuno della prole aveva voglia di farlo. Altra iperbole cinematografica, ovviamente, ma ancora una volta un capodanno non di festa autentica, non di relazione umana. E come non citare, infine, il saluto al nuovo anno – un po’ tragi e molto comico – ingigantito, ma con aspetti realistici, del povero Fantozzi? Lo squallore diventa risata quando il mitico Ugo finisce in un cenone dove il musicista ha spostato le lancette avanti di un bel po’, così a mezzanotte, per raddoppiare i guadagni, suonerà in un altro locale. Il cameriere versa addosso al ragioniere le cose da mangiare, e soprattutto, l’uomo qualunque di Fantozzi, si lascia trasportare dalla corrente del divertimento senza capire bene perché: partecipa ai balli di gruppo e quando a mezzanotte, convinto che siano le due del mattino, si trova in strada mentre tutti sparano, incita la gente a lanciare oggetti, ad andare fino in fondo con la festa, contagiato dal clima generale effervescente. Il suo capodanno terminerà con una lavatrice mollata da un palazzo, che centra in pieno la sua povera bianchina.

Ma quindi non esistono film di capodanno con la felicità dentro? Film armoniosi, romantici e con finale allegro? Esistono, certo, e qualcuno ha già pensato al bianco e nero classico de L‘appartamento di Billy Wilder, in cui Jack Lemmon è Shirley Mclaine si lasciano andare all’amore inseguito lungo tutto il film, davanti a un bicchiere di champagne, quando arriva il nuovo anno. E certamente va citata la sequenza di Harry ti presento Sally di Nora Ephron, in cui Billy Crystal raggiunge Meg Ryan e le dice: “Non è perché sono solo, e non è perché è Capodanno: sono venuto qui stasera perché quando ti rendi conto che vuoi passare il resto della tua vita con qualcuno, vuoi che il resto della tua vita inizi il prima possibile”. Ecco due film con capodanno luminoso, dunque, entrambi americani, del paese storicamente rappresentante di sogni, amante degli happy end e delle commedie romantiche al cinema. Sarà che in Italia, invece, amiamo – o di certo una volta amavamo – le commedie realistiche e più in generale una certa rappresentazione dell’amarezza, diciamo dai tempi del Neoralismo. 

Fatto sta che i nostri film sul capodanno possono ricordarci le tonalità agrodolci di questa festa, i suoi contrasti di colore, e quindi aiutarci a vivere serenamente le emozioni “strane” che questo momento può suscitare. E magari utilizzare questa notte ormai in arrivo per una riflessione personale o meglio ancora per una condivisione che vada oltre il tuffo cieco nella confusione e nello stordimento. Detto ciò, con sincerità, buon capodanno, e poi buon 2019, a tutti.

 

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