Scelte di coraggio

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Sono 764 a tutt’oggi, in oltre quaranta nazioni. Medio-piccole, in maggioranza, ma vivaci e produttive. Sono le aziende che seguono il progetto per una Economia di Comunione (EdC) (1). La nazione che ne ospita il maggior numero è la nostra Italia, seguita dal Brasile e dalla Germania. Di tutto ciò parliamo con Alberto Ferrucci, imprenditore genovese, tra i principali coordinatori del progetto. Quale bilancio sul valore sociale delle imprese EdC? «Emerge sempre più chiaramente – e sta diventando pensiero comune, almeno laddove le aziende EdC si sono sviluppate – che tali imprese costituiscono un “bene sociale”: non solo perché pagano le imposte e creano posti di lavoro, e neppure solo perché destinano una parte importante dei loro utili per la formazione delle persone alla fraternità universale, all’ “uomo nuovo” del Vangelo: e neppure solo perché un’altra parte importante dei loro utili è destinata, senza barriere nazionali, ad aiutare chi non dispone del necessario per una vita dignitosa e non ha speranza di un futuro migliore per i propri figli. «Sono un bene sociale anche perché i volti sereni degli imprenditori e lavoratori dell’EdC dimostrano che, pur in mezzo alle mille difficoltà della vita, la comunione tra chi agisce nell’impresa è il primo segreto della realizzazione personale». Solo personale? «No. Mi sembra che lo sia anche della innovazione e del successo economico. A un mondo in cui si è arrivati purtroppo a mercificare quasi tutto, e in cui quindi si guarda soprattutto all’economia, a una società intrappolata nelle barriere degli interessi nazionali e personali, che sempre più si dimostrano l’ostacolo principale per un armonico sviluppo di un mondo globalizzato, queste aziende offrono prospettive credibili: si può essere assieme socialmente utili ed economicamente competitivi». Una tappa importante per le aziende legate all’EdC la si era avuta nel 1996, quando i primi imprenditori avevano stilato delle “Linee per condurre una impresa di EdC”. A che punto siamo con la loro attuazione? «Queste linee riassumevano delle direttive di azione aziendale nei vari settori ed aspetti dell’operare economico. Erano nate dalle riflessioni e dalle esperienze di quei primi sei anni. Ora possiamo dire che sono diventate pietra di paragone ed obiettivo nell’agire delle aziende che hanno scelto di “operare in comunione”. E ciò in tutte le occasioni che si presentano nella vita dell’azienda: tra responsabili, con i lavoratori, con i fornitori, con i clienti, con gli amministratori pubblici ed anche con le aziende concorrenti. In fondo queste linee spingevano a operare per il bene comune e nel rispetto dell’ambiente». La scelta di operare come imprese di EdC porta spesso a scelte controcorrente rispetto all’agire economico prevalente… «Sono scelte che non risultano né semplici né immediate, è vero, perché spesso comportano maggiori costi, e quindi più difficoltà per generare quei profitti che rimangono, anche se non l’unico, un obiettivo aziendale fondamentale. Eppure, malgrado la difficoltà, il numero di imprese che aderiscono all’EdC continua a crescere: sia perché nuove aziende aderiscono al progetto, ed anche perché quelle che vi hanno già aderito riescono ad operare con profitto. Alcune di esse possono anche vantare un tasso di crescita particolarmente elevato». Se queste aziende resistono nel mercato nonostante questi “vincoli” legati alle loro scelte per la legalità, il rispetto delle persone e dell’ambiente, vuol dire che questo diverso agire economico sa attivare imprevisti meccanismi di sviluppo… «È un fatto, questo, che non è sfuggito agli studiosi di economia aziendale, molto interessati a scoprire il segreto di questa particolare vitalità e capacità di sviluppo. Tale attenzione è stata produttiva, visto che oltre cento studi sono stati portati avanti in varie università: tesi di laurea e dottorati di ricerca». E anche i convegni, i workshop e i congressi sull’EdC si moltiplicano un po’ ovunque. Perché? «Perché la cultura di comunione che traspare dall’agire degli imprenditori e lavoratori EdC fa intravedere implicazioni che vanno al di là del settore economico, e quindi suscitano curiosità e interesse, in ambienti economici ma non solo. Ad esempio, Christine Von Furstemberg, responsabile del progetto Most dell’Unesco – progetto che cerca di interpretare le mutazioni sociali del mondo di oggi –, conosciuta l’esperienza EdC, ha voluto inserirla tra quelle più significative del suo programma ». A giugno, in una Genova che si preparava al G8, l’EdC ha avuto il suo posto di rilievo nel convegno “Per una globalizzazione solidale verso un mondo unito”. Che ruolo hanno giocato le imprese EdC in quel contesto? «Il peso dell’esperienza delle aziende EdC ha in effetti assicurato l’autorevolezza necessaria per proporre all’Onu ed ai paesi più industrializzati del G8 i contenuti del “Documento di Genova” e la proposta del “Fondo Giovani del Mondo”, usciti da quel convegno». Nel convegno internazionale per imprenditori EdC dell’aprile 2001, con 800 partecipanti, Chiara Lubich aveva detto che vedeva in loro dei «laici speciali a cui non basta il lavoro e la famiglia: essi non sono contenti se non si prodigano per l’umanità intera ». Forse per questo aveva lanciato due proposte… «Effettivamente la prima proposta era quella di “far nascere scuole” adatte agli imprenditori, da tenersi dove essi operano e nei tempi loro disponibili; scuole che li facciano partecipi dei doni del carisma dell’unità e della nuova cultura e teoria economica da esso nate; e scuole in cui affrontare i problemi concreti di ogni giorno, con l’esperienza di chi già così opera in economia. «La seconda proposta, invece, era l’invito ad applicare anche in altre nazioni, come si era fatto in Brasile, il progetto EdC nella sua interezza, facendo nascere, con il contributo finanziario di tutti, nuovi poli produttivi. Chiara Lubich proponeva di iniziare dall’Italia, attivando un polo che intitolava a Lionello Bonfanti, uno dei primi costruttori della cittadella italiana di testimonianza del movimento, a Loppiano, vicino a Firenze». A che punto siamo con l’attuazione di queste proposte? «La prima proposta ha già una risposta. In novembre è stata infatti inaugurata a Milano la prima scuola di EdC (vedi articolo che segue, ndr). Passi avanti ugualmente importanti sono stati compiuti per la nascita del polo produttivo di Loppiano (ne parleremo più diffusamente in un prossimo numero, ndr), le cui strutture logistiche saranno predisposte in collaborazione con le amministrazioni locali, e gestite da una società per azioni già costituita, la EdC Spa, società di cui i lettori di Città nuova potranno, quando sarà il momento, sottoscrivere delle quote azionarie. Oggi il Consiglio di amministrazione sta predisponendo i piani edilizi-architettonici e di fattibilità industriale».

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