Scaricabarile e responsabilità possibili

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Nella pagina introduttiva di questo numero non pochi lettori forse si aspetterebbero parole di solidarietà per le moltitudini birmane spazzate via dai venti a 240 all’ora del ciclone Nargis. O forse parole sul baratro che a tratti sembra riaprirsi sotto i piedi della popolazione libanese. O, ancora, qualche paragrafo sulla spada di Damocle della fame che grava sulla testa di centinaia di milioni di esseri umani. Di tutto ciò, invece, scriviamo nelle pagine interne, certi che i lettori sappiano bene quanto ci stia a cuore un mondo più giusto, pacificato, solidale. Parliamo qui, invece, di piccoli fatti di cronaca che accadono nella nostra Italietta che potrebbe e dovrebbe essere un grande Paese: giusto, pacificato, solidale. Ricordiamo i fatti di Verona, la morte – conseguenza delle percosse d’un branco di sbandati, nostalgici del nazismo – di Nicola Tommasoli, reo di aver negato una sigaretta ai cinque aggressori. Parliamo ancora della purtroppo non nuova catena di stupri e di apparente impunità che continuano a colpire dal nord al sud e che non riguarda solo immigrati ma in massima parte donne-vittime e uomini-carnefici di origine italiana (secondo l’Istat ben più del 90 per cento). Parliamo pure dei reiterati atti di bullismo – regolarmente messi in mostra su You Tube – che avvengono nelle scuole dei nostri figli, e che hanno protagonisti ragazzi e ragazze sempre più giovani e insospettabili: capelli bruciati al compagno debole a Viterbo; a Bari, la diffusione delle immagini della biancheria intima della prof; e a Genova i pestaggi per chi non paga il pizzo, cioè telefonini o miscela per i motorini… Illustri osservatori della realtà italiana – cito De Rita, presidente del Censis, e il card. Bagnasco – hanno parlato di sfilacciamento del Paese, una delle cui prime espressioni sarebbe questa piccola intolleranza diffusa. Non occorre in questo caso chiamare in causa le grandi intolleranze del passato e, purtroppo, del presente. Uno dei mali più gravi che affliggono la nostra democrazia è la catena di piccole irresponsabilità che porta a far crescere a dismisura i sentimenti di precarietà e insicurezza. Certo, la non facile situazione economica di certe categorie di cittadini accentua questi sentimenti diffusi, così come non va taciuto il grande nemico additato da Benedetto XVI: il relativismo delle idee, dei valori, delle pratiche. Ma il nostro problema, che pure ha radici macro, cioè più generalizzate, sembra piuttosto riguardare il micro, cioè il nostro orticello, il nostro quotidiano. È un malessere di ordine etico: la responsabilità di quanto ci riguarda viene troppo spesso delegata ad altri, se possibile a chi ci sta sopra nella scala gerarchica, altrimenti a chi sta sotto. È l’italianissima pratica dello scaricabarile: ordire minuscole corruzioni, barare sull’orario di lavoro, pensare che il mio interesse sia anche quello comune… Lo scaricabarile è un virus purtroppo accompagnato da un altissimo rischio di contagio, spesso diffuso per via cartacea (stampa), catodica (tivù) o digitale (Internet). Fortunatamente cresce – e comincia a farsi sentire – anche una larga fetta di cittadini e di società civile che, stanche dell’andazzo, nel loro piccolo si rimboccano le maniche. Sì, serviranno leggi adeguate per controllare il flusso degli immigrati, punire gli stupratori, ridurre le imposte, contrastare il lavoro nero, evitare il bullismo: ci mancherebbe altro! Tuttavia questi provvedimenti serviranno a poco e rischieranno di rimanere lettera morta se io cittadino non sarò coinvolto in prima persona nella operazione collettiva – comunitaria nel senso più profondo del termine – di aumentare il tasso di responsabilità della società. Così, per ridurre i rigurgiti nazisti c’è anche bisogno di una buona iniezione d’accoglienza verso chi è diverso da noi (vedi pp. 10, 32, 58, 67…); per combattere la piaga degli stupri serve anche una maggior coscienza del valore della persona umana e del senso della vita (pp. 30, 43, 50…); per non dover più sopportare atti di bullismo è anche necessaria una vita familiare e scolastica che insegni la socialità (pp. 38, 46, 74…). E via dicendo. C’è una frase evangelica a cui troppo spesso mettiamo la sordina, parole presentate da Luca: Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto. Che non sia anche questa la via per trasformare quella parte di Paese che agisce come una meschina Italietta nella vera e bella Italia che il mondo potrebbe e vorrebbe ammirare?

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