Chi ha sbloccato il Canale di Suez?

Il 29 marzo, dopo 6 giorni dall’incidente della Ever Given, il Canale di Suez è stato riaperto al traffico marittimo. Della vicenda hanno ampiamente riferito i media mondiali, ma sono interessanti anche i contorni egiziani della storia, ora che la grande paura di un blocco prolungato è stata scongiurata.
La nave portacontainer Ever Given mentre blocca il canale di Suez (AP)

Nell’ultima settimana in Egitto è successo di tutto e di più. Il fatto più seguito a livello internazionale è stato senza dubbio il blocco del Canale di Suez per l’incagliamento della Ever Given, la nave portacontainer da 220 mila tonnellate di proprietà giapponese e battente bandiera panamense, ma negli stessi giorni c’è stato un drammatico scontro ferroviario vicino a Sohag ed è crollato al Cairo un palazzo di 10 piani (in entrambi questi casi con numerose vittime). Per non parlare del Covid: ufficialmente 200 mila contagi e 12 mila morti dall’inizio della pandemia, ma la parte ufficiosa dei dati è del tutto sconosciuta, e potrebbe non essere da meno.

Secondo il passaparola popolare e il gossip dei social, la causa di questa concentrazione di drammatici accadimenti sarebbe la “maledizione dei faraoni” (gli egiziani sono notoriamente un popolo che ama scherzare su tutto, nonostante tutto), scatenata dalla decisione di trasferire (il 3 aprile prossimo) 22 mummie regali (18 faraoni e 4 regine) dal centrale e più che centenario Museo di piazza Tahrir al periferico Nuovo museo della civiltà egiziana (Nmec) di Fustat: le mummie di Nefertari, Hatshepsut e del mitico Ramses II non gradirebbero il trasferimento.

Scherzi a parte, il blocco del Canale di Suez per l’incagliamento della Ever Given ha tenuto banco per giorni sui media di mezzo mondo. Ed è comprensibile non solo per la spettacolarizzazione che è stata fatta dell’incidente, ma anche per le pesanti ricadute economiche dovute al blocco di uno dei principali “colli di bottiglia” del commercio, dal quale transita il 10-12% del traffico mondiale di merci (compreso il 40% del commercio marittimo italiano). Solo nel 2020 sono transitate lungo i 190 km del Canale di Suez circa 19 mila navi.

In ogni caso la Ever Given è stata sbloccata nel pomeriggio del 29 marzo, sei giorni dopo l’incidente che aveva ostruito il Canale in una delle parti più strette (ca. 300 metri), mettendo in stand by il transito di quasi 400 navi. Dopo i primi tentativi inutili (ha fatto il giro del mondo la foto della piccola ruspa che scava patetica la riva vicino all’immensa mole della Ever Given) è stato chiesto l’intervento della maggiore azienda mondiale di dragaggio e sollevamento di carichi pesanti, l’olandese Smit Salvage, del gruppo Royal Boskalis Westminster. Il suo amministratore delegato, Peter Berdowski, ha dichiarato che per riportare in assetto di galleggiamento la Ever Given sono stati dragati “circa 30 mila metri cubi di sabbia” a 18 metri di profondità, con l’impiego successivo, per trascinare la nave fino al Grande lago amaro, di 13 rimorchiatori, inclusi l’olandese Alp Guard e l’italiano Carlo Magno, giunti appositamente sul posto. La Smit Salvage è la stessa impresa che ha guidato la rimozione del relitto del sottomarino nucleare russo Kursk nel 2001 e di quello della Costa Concordia, all’isola del Giglio, nel 2012.

Pur senza voler minimamente sottovalutare il contributo determinante di ingegneri, tecnici e maestranze dell’Authority del Canale di Suez (e quello della luna che ha fatto alzare la marea) per il felice esito della vicenda, che rischiava di diventare economicamente disastrosa nel caso si fosse dovuta scaricare la Ever Given per poterla smuovere, sorprende il tono dei messaggi twittati dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, dopo la tutto sommato rapida risoluzione del complesso problema.

“Ringrazio ogni leale egiziano che ha contribuito tecnicamente e praticamente a porre fine a questa crisi” afferma al-Sisi in uno dei tweet. E in un altro: “Gli egiziani hanno concluso con successo la crisi del Canale di Suez per liberare la nave arenata, nonostante l’enorme complessità tecnica del processo. Il mondo può essere certo di tornare alla normalità, poiché le merci continuano il passaggio attraverso questa principale arteria di navigazione”. Entrambi i messaggi sembrano voler a tutti i costi rivendicare l’esclusiva “nazionalità” dell’impresa. Perché? Che bisogno c’era? Orgoglio egizio?

Si capisce, anche senza voler immaginare troppo né oltre, che si tratta comunque di una questione sensibile. Se non altro perché il Canale di Suez dà ovviamente lavoro a migliaia di persone, ma anche perché i pedaggi di transito rappresentano un’entrata per lo stato egiziano stimata in 5-6 miliardi di dollari l’anno. E con il turismo in crisi da Coronavirus, si intuisce una certa paura, forse, di una crisi dell’importante attività economica. Tanto più che nel mondo ci sono state diverse contrarietà nei confronti dell’ampliamento del Canale di Suez, fortemente voluto da al-Sisi e realizzato alcuni anni fa dall’esercito egiziano. Contrarietà per i pedaggi, giudicati elevati da alcune compagnie (tanto che alcune preferiscono talvolta la circumnavigazione africana, anche se decisamente più lunga), ma anche per motivi ecologici e di infestazione dell’ecosistema mediterraneo.

 

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