Sbarchi e migranti: i processi a Salvini

A Catania e Palermo le udienze preliminari per i casi Gregoretti ed Open Arms, due degli episodi in cui l’ex ministro degli Interni vietò l’approdo alle imbarcazioni cariche di migranti. A Catania la Procura chiede il non luogo a procedere, a Palermo è arrivato il rinvio a giudizio. L’analisi di due vicende in parte simili, ma con molte diversità. E un dibattito politico-giudiziario che anima i media.
Matteo Salvini (AP Photo/Alessandra Tarantino, Pool)

Matteo Salvini rinviato a giudizio a Palermo. Il senatore della Lega, ex ministro dell’Interno, dovrà rispondere di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. La prima udienza del processo è stata fissata per il 15 settembre. Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo, Lorenzo Jannelli ha deciso che ci sono gli elementi necessari per il processo al leader del Carroccio che, nell’agosto 2019, rifiutò l’approdo a Lampedusa alla Ong spagnola Open Arms, con 147 migranti a bordo.

In un’aula di tribunale hanno fatto il loro ingresso le ragioni giuridiche e quelle di natura politica che da alcuni anni attraversano le cronache politiche italiane. La procura aveva chiesto il rinvio a giudizio di Salvini ritenendo che fossero non motivate le ragioni da lui addotte per impedire l’approdo a Lampedusa. Le ragioni di Salvini sono state esplicitate dall’avvocato Giulia Bongiorno, suo difensore nonché senatrice della Repubblica: secondo Bongiorno, l’ex titolare del Viminale avrebbe agito per tutelare i confini nazionali e comunque la decisione non era voluta dal solo Salvini, ma condivisa dall’intero governo. La vicenda, peraltro, si consumò negli stessi giorni in cui la Lega presentò la mozione di sfiducia al primo governo Conte decretandone, di fatto, la fine.

A sbloccare la vicenda ed a ordinare lo sbarco dei migranti, ormai ridotti allo stremo, fu la Procura di Agrigento: venne decisa un’ispezione a bordo, i magistrati salirono sulla nave e constatarono le difficili condizioni psico-fisiche dei migranti a bordo. Poco dopo l’approdo a Lampedusa, pose fine alla mera vicenda di cronaca, ma aprì la vicenda giudiziaria che, dopo 20 mesi, ha portato al rinvio a giudizio. Al processo presenzieranno anche 21 parti civili (varie associazioni che operano nel settore dei diritti umani) e sette dei migranti che erano a bordo.

Due vicende pressoché analoghe, a distanza di pochi giorni, a Palermo e a Catania: qualche giorno prima a Catania si era svolta l’udienza preliminare per la vicenda della nave Gregoretti. Anche in questo caso, l’accusa per Salvini, era di sequestro di persona. Ma la Procura di Catania aveva chiesto ed ottenuto il proscioglimento. Due metri e due misure, dunque, da parte delle due procure?

La Gregoretti arriva a Catania (AP Photo/Carmelo Imbesi)

Gli elementi di domanda ci sono tutti e a qualcuno non sfugge la particolare preferenza di Salvini per la Procura di Catania giacché, in più d’una occasione, ha preferito far spostare le navi a Catania, piuttosto che a Siracusa. C’è chi parla di diverso orientamento delle due procure, ma è un dato di fatto che le due vicende, che appaiono simili a prima vista, presentano in realtà delle diversità. Nel caso della Gregoretti (luglio 2019), il tempo intercorso prima dell’approdo fu più breve ed è facile valutarlo come quello necessario ad organizzare l’approdo dei 131 migranti a bordo. Per la vicenda Open Arms, invece, il tempo trascorso prima dello sbarco a Lampedusa fu più lungo, si giunse anche al sequestro della nave e fu necessario l’intervento dei magistrati per consentire lo sbarco, quando ormai i migranti erano allo stremo.

Sono dissimili anche le condizioni oggettive perché la Open Arms è una nave di proprietà di un Ong spagnola, mentre la Gregoretti è una nave della Marina militare italiana. In questo senso, i migranti presenti sulla nave sono da considerare giuridicamente già “in territorio italiano”: in questo caso, la necessità di tutelarli e di non sequestrarli sarebbe in capo solo allo Stato italiano ed a chi ha assunto le decisioni. Lo Stato italiano li avrebbe trattenuti illecitamente in uno spazio chiuso nel proprio territorio.

Secondo il Pm catanese Andrea Bonomo, però, Salvini non ha violato le convenzioni internazionali e la sua condotta non costituisce reato. Inoltre, l’azione del ministro sarebbe stata condivisa da tutto il governo. E la nave che accoglieva i migranti – secondo Bonomo non li avrebbe sequestrati –, sarebbe stata una sorta di “punto di approdo” (place of safety). I migranti, cioè, erano già in salvo e sotto la tutela dello Stato italiano pur se trattenuti a bordo contro la loro volontà. La difesa di Giulia Bongiorno ha offerto un ragionamento sostanzialmente simile a quello di Palermo: Salvini non ha violato le norme internazionali e ha difeso i confini dello Stato.

Salvini, in entrambe le occasioni, è stato presente in aula e non si è risparmiato ai microfoni dei giornalisti: un’occasione di esposizione mediatica che il leader della Lega ha sfruttato opportunamente.

La decisione arriverà il prossimo 14 maggio: se si confermerà il “non luogo a procedere” sulla vicenda si potrà dire la parola “fine” (anche se continueranno gli strascichi dei dibattiti politici). Un’eventuale decisione di rinvio a giudizio, invece, avverrebbe in antitesi alla richiesta della Procura.

Nell’uno e nell’altro caso, c’è tanta “carne al fuoco” su una vicenda che, sulle righe di un percorso giudiziario, scrive le tesi di un dibattito politico. È accaduto spesso, troppo spesso, in Italia, negli ultimi decenni. Oggi tutto cammina sulle scie di processi mediatici che affiancano e talvolta persino surclassano quelli che avvengono nelle aule dei tribunali.

 

 

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