Saroyan davanti alla vita

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C’è un un “di più” negli scrittori che fondono in sé due popoli e due culture, che manca forse ad altri autori: un’anima capace di esprimere con respiro universale la condizione, per così dire, di esiliato sempre in ricerca di un altrove di ogni uomo che soffre e gioisce su questa Terra. È il caso di William Saroyan, americano figlio di immigrati armeni che sentì in profondità l’appartenenza alla sua terra d’elezione, grande crocevia di popoli, ma al tempo stesso provò perenne nostalgia per quella patria d’origine così duramente provata dai fatti della storia e dai cataclismi, sempre colpita e sempre capace di rialzarsi. Una terra con un patrimonio di storia, di arte e di fede unici, che solo a 27 anni egli riuscì a visitare. Gli armeni, la sua cittadina natale di Fresno, gli Stati Uniti: ecco i motivi ispiratori della sua opera. Cui si aggiunge il costante riferirsi agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza: quasi un atto d’amore verso un periodo così fondamentale per la formazione di ciascun uomo, a motivo delle scelte che vi si fanno. Ciò che veramente conta per Saroyan è l’elemento umano: “Sono un raccontastorie con un solo intreccio a disposizione: l’uomo”, afferma nel racconto Io sulla terra. Essenzialmente ottimista, eglicrede nella bontà di fondo dei suoi simili, nella loro capacità di rialzarsi da ogni caduta, e riesce a rintracciare un barlume di luce persino negli aspetti più oscuri dell’animo umano. Se egli condanna il male, non così chi erra, considerato alla stregua di un malato; ed è sempre aperto alla speranza e al futuro. Controbilancia questa tendenza, che potrebbe sconfinare nell’ingenuità e nella superficialità, una sorta di insoddisfazione di per sé non negativa, in quanto esprime un’aspirazione costante ad “arrivare più in là”. Per lui inoltre è scontato che gli esseri umani, a qualunque nazione appartengano, sono fratelli con un unico destino di felicità: consapevolezza, questa, che deriva in parte dalla forte coscienza religiosa della nazione armena, l’unica cristiana in mezzo alle altre vicine musulmane. Insieme alla passione per l’uomo, predomina in lui la gratitudine per il dono della vita: entrambe così contagiose che non è difficile dedurre quanto debbano a questo esuberante scrittore autori come Bukowsky e Fante. Scrittore istintivo e geniale, capace di usare diversi registri – dall’ironico al comico al grottesco al drammatico al lirico -, Saroyan sembra immune da tormenti creativi ed è invece letteralmente dominato dalla gioia di scrivere tutto ciò che ritenga autentico. Il suo modo personalissimo di narrare riesce a coinvolgere anche il lettore più estraneo ad un certo ambiente geografico e culturale, grazie alla rispondenza spirituale che sa suscitare al di là degli accadimenti esteriori. Dotato di una capacità d’osservazione tutta speciale, sbocciata da molte sofferte esperienze di lavori umili a contatto con un’umanità senza maschere, egli si esprime per associazioni di idee da cui scaturisce tutto un assortimento di quadretti, di tipi e paesaggi umani. Dove egli è magistrale è nella composizione breve, priva quasi di struttura narrativa: e in effetti – commenta Elio Vittorini, suo primo traduttore – “Saroyan non ha fatti da narrare, situazioni da svolgere, ma cose da dire e i personaggi non lo interessano che come simboli delle cose che ha da dire”. Lo scrittore stesso confessa che nei suoi racconti cerca di “adunare quanta più eternità possibile”. Allontanandosi dalla tradizione classica europea, Saroyan ha un periodare rapido, un po’ spezzato, incalzante, che risente della lingua parlata. Ed è questa spontaneità all’apparenza un po’ caotica che rende affascinanti i suoi libri. “Non sono rare le pagine, spoglie di retorica, simili a un inno alla vita, all’esistenza intesa come armonia, bellezza, luce; a una vita non eccezionale, inimitabile, da superuomo, bensì quotidiana, quella che ognuno può vedere e capire, se è animato da amore per sé e per gli altri”. È quanto scrisse a suo tempo Domenico Manzella a proposito di In bicicletta a Beverly Hills: un giudizio che può estendersi all’intera opera di Saroyan. La commedia, il trapezio, la bicicletta Di Saroyan l’editrice Marcos y Marcos ha pubblicato recentemente La commedia umana (attraverso la vicenda della famiglia Macauley, a Ithaca, in California, una panoramica sull’adolescenza e sul mondo degli immigrati negli anni Quaranta), In bicicletta a Beverly Hills (dove, attraverso adulti che rievocano volentieri la giovinezza e giovani dalla naturale disposizione alla poesia, il tema dominante si riassume nella domanda: come trovare un proprio posto nel mondo?); e – per la prima volta in traduzione italiana – una raccolta di venticinque racconti, ambientati per lo più a San Francisco: Il trapezio volante, che fu il suo libro d’esordio e il più venduto d’America nel 1934. Brevi o lunghi, allegri o amari, contrassegnati da una formidabile capacità visiva, questi racconti aprono squarci inaspettati, rendono epico e fantastico tutto ciò di cui trattano: in esse, si direbbe, Saroyan rende più vita la vita. Per l’ispirazione lirica che li pervade, possiamo definirli con Vittorini veri “poemetti in prosa” nel senso più ampio del termine. WILLIAM SAROYAN (1908-1981) nacque a Fresno in California, da genitori armeni emigrati (in basso il suo ritratto). Rimasto orfano di padre, per contribuire alle necessità della famiglia fece diverse esperienze di lavoro, da fattorino in un ufficio telegrafico a strillone di giornali a San Francisco (a sin. panorama della città). Interrotti forzatamente gli studi regolari, non trascurò tuttavia di farsi una cultura da autodidatta. Pubblicò il suo primo racconto a venticinque anni, nel 1933, su una rivista in lingua armena. Il successo gli arrise l’anno successivo con Il trapezio volante, prima di numerose altre opere di narrativa, cui si aggiunsero testi teatrali come Il tempo della nostra vita, del ’39, per il quale gli venne assegnato il premio Pulitzer che tuttavia egli rifiutò. Ormai ricco, famoso e corteggiato da Hollywood, intraprese vari viaggi all’estero che lo portarono, fra l’altro, in Russia e Armenia. Partecipò alla seconda guerra mondiale come soldato semplice sul fronte europeo.Alcuni dei suoi racconti furono tradotti e pubblicati in Italia da Elio Vittorini nel 1940 col titolo Che ve ne sembra dell’America? e nel 1941 nell’antologia Americana. Altre sue opere pubblicate in Italia: Amore, mi cavo tanto di cappello, La maniera di essere vivi, Il mio nome è Aram, La commedia umana, La tigre di Tracy, Rock Wagram l’indistruttibile, In bicicletta a Beverly Hills, Ti voglio bene, mamma!, Uomini e donne insieme.

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