Santi al cinema, un breve viaggio

La storia dei santi al cinema ha una lunga storia e attira ancora oggi autori e cineasti.  

La storia di santi al cinema è vasta e di qualità molto variegata. Si va da prodotti edificanti – specie negli anni intorno al secondo conflitto mondiale – ad altri che uniscono sacro e profano con scopi spettacolari, a lavori di  autentico scavo psicologico-morale, sino alle fiction televisive che accontentano il gusto del pubblico oscillando tra realtà e finzione, fissandosi spesso su figure note come don Bosco, Bernadette, Rita da Cascia, Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, almeno in Italia.

Qui prendiamo in considerazione alcune figure di santi apparsi al cinema secondo una collocazione cronologica: Pietro, Francesco d’Assisi, Giovanna d’Arco, Thomas More, Bernardette, Theresa di Lisieux, i monaci algerini, delineando così una sorta di storia del cinema fino ai nostri giorni, a riprova di un interesse costante verso queste personalità da parte della settima arte.

Pietro di Betsaida.

Tralasciando le serie televisive sugli Atti degli Apostoli – da quella celebre di Rossellini al personaggio delineato da Zeffirelli nel suo Gesù, alle produzioni della Lux Vide – troviamo nel 1959 il film hollywoodiano Il grande pescatore. È un prodotto tipico di quella spettacolarizzazione del religioso in stile kolossal amata dagli Usa in quegli anni, di cui fanno parte lavori come La Tunica. Nonostante il titolo, Pietro vi compare come secondo personaggio perché il cuore del film è la storia di due innamorati che il Pescatore fa incontrare con Cristo. Egli farà cambiare la loro vita e desistere da propositi di vendetta in nome dell’amore universale. Un pizzico di Vangelo  per una love story fastosa e “storica”, in uso negli anni Cinquanta e Sessanta nel ‘900, dall’Italia all’America.

Francesco d’Assisi

Sono una ventina i film dedicati al santo (tralasciando quelli televisivi), a cominciare dal 1911, Il Poverello d’Assisi di Enrico Guazzoni. Nel 1961 Hollywood si interessa di lui con Francis of Assis, diretto da Michael Curtiz. Girato in Umbria con grandi mezzi, è l’agiografia classica del santo filmata senza particolari coinvolgimenti personali del regista ma come uno spettacolo tutto sommato dignitoso. Prima, nel 1950, Rossellini aveva invece data una lettura in Francesco giullare di Dio accurata, undici episodi basati sui Fioretti. La santità come anticonformismo, sincerità, ribellione o follia. Francesco è un laico più che un religioso in un film avvolto  di poesia, poco interessato alla verità storica.

Laica è anche la visione di Liliana Cavani (1966) nel suo Francesco d’Assisi affidato a Lou Castel, un ritratto intenso e struggente di un rivoluzionario tout court, fresco e antiretorico. Un film il cui valore resiste tuttora e che viene completato – in un certo senso – nel 1989 dal secondo film della regista, Francesco. Qui il santo è la star americana Mickey Rourke il cui atletismo certo non si confà al santo, eppure l’attore riesce a immedesimarsi nell’interiorità del personaggio, specie nella scena delle stimmate, creando non un Francesco del secolo XIII ma un uomo attuale, un ribelle simile a Cristo, visto con squisita sensibilità femminile.

In Fratello Sole e sorella Luna di Franco Zeffirelli (1972), fastoso nella scenografia e nei costumi, di viva poesia naturalistica è il lato romantico e hippie a farsi strada nella visione di un Francesco incantato, innamorato di Dio e del creato. Nonostante l’estetismo, il film ha una sua coerenza, nel presentare un Francesco tra storia mito e devozione, ma per nulla banale, anzi di una mitezza forte.

E si arriva al 2016 con Il sogno di Francesco, film francese di R. Fely e A. Louvet con Elio Germano protagonista, che racconta la storia dei francescani dei primi tempi  vista dall’interno. Un piccolo film ma molto interessante per i risvolti nei rapporti personali, in particolare con frate Elia.

Giovanna d’Arco

Figura ricercata molte volte dal cinema, vista con realismo o avventura o slancio mistico. Si inizia già nel 1898 con Exécution de Janne d’Arc di Georges Hatot, un brevissimo film, da cui ne sorgeranno almeno una quarantina. Fra i più noti Joan the Woman di Cecil B. DeMille (1916) di stampo bellico e avventuroso, per giungere ad un primo capolavoro assoluto: La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer (1928). Racconta solo gli ultimi giorni di vita, privilegiando una messinscena senza tempo, e facendo rivedere i tormenti del corpo e dello spirito della santa, da poco canonizzata.

Nel secondo dopoguerra, sarà l’attrice svedese Ingrid Bergman a dar vita per due volte al personaggio. La prima nello scintillante Giovanna d’Arco (1948) di Victor Fleming, più diva che santa; poi in Giovanna d’Arco al rogo (1954) di Roberto Rossellini, dove diventa un donna sobria, dolente e forte. Se poi nel ’57 Otto Preminger delineerà una Pulzella ostinata, fascinosa e anche innamorata, Bresson nel 1962 gli risponderà con una Giovanna intellettuale che “discute” con i giudici e non si arrende facilmente. Nel ’94 tocca a Jacques Rivette rivedere “storicamente” la Pulzella, che ride, seduce gli uomini, soffre: in pratica, una sintesi delle ricerche filmiche precedenti, affidata alla brillantezza di Sandrine Bonnaire. Il film di Luc Besson del ’99 invece con Milla Jovovich è una incursione  in pieno star system hollywoodiano attuale, molto fastoso, sul personaggio, presentando  Giovanna più che come una santa, una invasata.

 Tommaso Moro

La vita del  celebre umanista decapitato per volere del re Enrico VIII è stata raccontata nel celebre e superpremiato con gli Oscar lavoro di Fred Zinnemann del 1966 Un uomo per tutte le stagioni. Si tratta di un imponente dramma storico con un grande cast (il cardinale Wolsey è Orson Welles), molto didascalico , ma sufficiente a schizzare in tratti incisivi i personaggi, evidenziando in Moro la psicologia, la fede, le decisioni e i rapporti senza alcuna concessione all’agiografia. La figura di Moro è stata poi rivisitata nella ormai famosa serie televisiva inglese The Tudor dove egli appare con un’aria vagamente fanatica, anche se rispettosa.

Bernardette

Sulla celebre veggente le biografie si sprecano ed anche la televisione italiana si è interessata a lei. Al cinema resiste tuttora come miglior opera sulla santa il film Bernadette del 1943, diretto con misura da Henry King. Un lavoro americano in bianco e nero sulla ragazza che ne ripercorre la vita dall’infanzia alla morte con sobrietà e semplicità, pur nella serietà storica. Certo si tratta di un lavoro agiografico, ma nel senso più nobile del termine, anche perché l’interprete (Jennifer Jones) è discreta e commovente.

Teresa di Lisieux

Ottenere sei César e il Premio della Giuria a Cannes per un film su di una santa è un fatto sorprendente. Eppure è riuscito al film di Alain Cavalier del 1986 Thérèse, dove si racconta appunto di Teresa, della sua vocazione, della vita in convento, della malattia e della morte.  Nessuno stile edulcorato, tutto semplice e reale in un’opera rigorosa e commovente, magnificamente interpretata da Catherine Mouchet che dà anima e corpo a questa giovane vivace entusiasta ed innamorata.

I monaci di Tibhirine

Il gruppo ucciso da fanatici islamici affascina anche il cinema  e nel 2010 il regista francese Xavier Beauvois filma il racconto del loro martirio in Uomini di Dio (Des hommes et des deux), Gran Premio a Cannes della Giuria. Una narrazione asciutta, vista con occhio laico ma attratto dalla ieraticità della vita monastica.

I santi di oggi attirano ancora la Settima arte.

 

 

 

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