Rupnik, l’ispirazione e gli abusi

Avviata la procedura di “dimissioni” dell’artista e teologo sloveno, autore di decine e decine di opere musive in giro per il mondo. Accusato di avere abusato di una ventina di consacrate, viene allontanato dalla Compagnia di Gesù per mancanze nell’obbedienza
Rupnik
I mosaici di Rupnik presso la basilica di Lourdes.

Lunga vicenda, assai complessa e dolorosa, quella che ha coinvolto padre Marko Ivan Rupnik, teologo sloveno e gesuita, espulso – anzi «dimesso» – nei giorni scorsi dalla Compagnia di Gesù, dopo un lungo iter di accuse relative ai suoi comportamenti morali e fisici nei confronti di un certo numero di religiose, atti commessi nell’arco di 30 anni. Cesserà di essere gesuita solo dopo i canonici 30 giorni di tempo a lui concessi per fare ricorso, a partire dal 14 di giugno.

Rupnik, 68 anni, è teologo e artista mosaicista, assai conosciuto nella Chiesa cattolica anche perché ha messo mano a luoghi-simbolo della cattolicità: dal santuario di Lourdes, a quello di Valentina Kowalska in Polonia, dalla tomba di Padre Pio alla cappella Redemptoris Mater nel cuore del Vaticano. Le sue opere hanno conquistato il mondo ecclesiale per la sua modernità, soprattutto nell’uso dei materiali, e per i suoi legami con la tradizione (soprattutto orientale) con le sue raffigurazioni di personaggi della storia sacra. Se le sue decorazioni stupiscono e danno un carattere decisamente slanciato alle costruzioni dove sono ospitate, dubbi di numerosi critici emergono sulla qualità delle sue “raffigurazioni sacre”, da taluni considerate un po’ dozzinali. Ma tant’è, anche se fosse condannato definitivamente, le sue opere ormai rimarranno.

Le prime denunce nei confronti di padre Rupnik risalgono al 2022, relative ad episodi precedenti al 2015. Il gesuita era perciò stato sottoposto a restrizioni come il divieto di confessare e di accompagnare esercizi spirituali. A febbraio 2023, un’indagine compiuta dal cosiddetto “Team referente” gesuita, cioè sostanzialmente un organo interno di giudizio su casi di comportamenti non conformi alla regola gesuita, aveva reso note nuove accuse di «violenza psicologica, abuso di coscienza, abuso nell’ambito sessuale e affettivo, abuso spirituale». Le testimonianze, una ventina, concordanti e “indipendenti” l’una dall’altra, cioè senza che un caso conoscesse gli altri casi, erano state definite dal Team «molto credibili». Così padre Rupnik aveva ricevuto l’ordine di non muoversi dal Lazio senza autorizzazione, così come di svolgere attività artistiche o pubbliche.

Ma padre Rupnik non ha voluto seguire le indicazioni del suo ordine, continuando nelle sue attività e nelle celebrazioni pubbliche. I gesuiti fanno così sapere di avergli imposto in questi mesi di cambiare comunità e di «accettare una nuova missione in cui gli abbiamo offerto un’ultima possibilità come gesuita di fare i conti con il proprio passato e di dare un segnale chiaro alle numerose persone lese che testimoniavano contro di lui». Rupnik avrebbe rifiutato tali imposizioni, e perciò l’ordine avrebbe deciso di mandarlo via, con evidente irritazione del Team e dei suoi superiori. La ragione delle “dimissioni” riguardano quindi non le accuse di abusi spirituali e sessuali ma il suo rifiuto a osservare il voto di obbedienza.

Rupnik ha dato vita a un florido centro artistico e spirituale, il Centro Aletti, del quale fanno parte dei gesuiti, delle consacrate e dei preti non gesuiti. Il futuro del centro è ora assai dubbioso, anche se i suoi membri insistono nell’affermare che le attività proseguiranno. Ma c’è da tenere in conto che la notorietà del caso sta già creando grandi difficoltà al Centro, soprattutto nelle sue attività di esercizi spirituali e quindi nella gestione economica. E c’è già chi ipotizza di smontare le installazioni artistiche di Rupnik, anche se alla fine la storia insegna che l’arte rimane al di là dei comportamenti censurabili dell’artista.

Cone sostiene SettimanaNews, bisogna pure interrogarsi sulla pretesa protezione ricevuta da padre Rupnik dal suo compagno d’avventura gesuita che risponde al nome di papa Francesco (che pure ha smentito qualsiasi suo interessamento al caso), amico del religioso sloveno. E anche sul ruolo del defunto card. Tomáš Špidlík, grande amico e protettore del Centro Aletti: alcune delle vittime hanno affermato che il prelato, fine teologo dell’Oriente della Chiesa, sapeva tutto e non è intervenuto. Comunque l’affare è da seguire ancora, nuovi sviluppi si annunciano prima di una eventuale condanna definitiva.

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