Rugby: i “briganti” da Librino alla serie A

A Librino, la squadra femminile dei Briganti passa alla serie A rugby dopo 17 anni di impegno e sacrifici per ridare al territorio un quartiere migliore.

La nascita dei Briganti: dal vagabondaggio al campo liberato
È nel febbraio 2006 che a Librino, uno dei quartieri più difficili della realtà catanese, nasce ufficialmente l’associazione sportiva di rugby dei Briganti. L’idea è del gruppo di volontari che operava già da tempo nel centro Iqbal Masih — un centro sociale di aggregazione che nasce a Librino nel settembre del ’95, dopo l’omicidio da parte della mafia pakistana del tredicenne — e che decide di inserire anche lo sport tra le varie attività proposte nel centro.

Inizialmente, la proposta sportivo-educativa del rugby viene indirizzata solo ai più piccoli ma con il tempo riesce ad abbracciare tutte le categorie sia maschili che femminili. Nonostante la rapida crescita, però, i Briganti, che hanno da sempre operato a titolo gratuito nel quartiere, non hanno avuto vita semplice e, questo, nemmeno per l’unica cosa davvero fondamentale per loro: il campo. A dispetto della presenza di un campo nelle immediate vicinanze del centro, i volontari e i ragazzi sono stati per molto tempo costretti a vagabondare da un campo all’altro. Queste le parole del presidente Mirko Saraceno nel ricordare i primi tempi: «Fino al 2012 l’associazione è costretta a girovagare per i vari campi della città per potersi allenare. Questo ha fatto sì che alcuni dei ragazzi non riuscissero a seguire più le nostre attività soprattutto legati ai problemi di mobilità per raggiungere i diversi campi».

Tutto il bene dei volontari, tutto il bello dello sport e tutti i valori del rugby rischiavano, quindi, di perdersi a Librino. Questa paura diventa sempre più concreta, non solo a causa dell’abbandono dei ragazzi, impossibilitati a seguire le attività, ma anche a causa di un tragico evento: la morte del giovane brigante Peppe Cunsolo. Ma, come spesso accade a chi è abituato a vivere in un territorio tanto difficile, è nei momenti di maggiore difficoltà che si riesce a rialzarsi e a rinascere. Così, come le ginestre che crescono in mezzo al terreno arido tracciato dalla lava, i Briganti si risollevano e trovano la forza, e un motivo in più, per combattere.  Parlando della morte del giovane, il presidente ricorda: «Ha fatto scattare in noi la scintilla di dover ritornare ad essere presenti sul territorio di Librino e da qui si decise di “liberare” la struttura del San Teodoro, costruita per ospitare le universiadi del 97 ma poi mai del tutto completata ed infine abbandonata. A proposito del nome, — afferma— noi quel posto non l’abbiamo occupato ma l’abbiamo liberato dall’incuria e dallo stato di abbandono in cui versava. L’obiettivo era ridarlo alla comunità». Obiettivo che, finalmente, l’associazione raggiunge nel 2015 quando, dopo anni di richieste e occupazioni, ottiene la concessione del “Campo XXV Aprile San Teodoro Liberato”.

Rugby e briganti: tra lotta per i valori e lotta per il territorio
L’associazione si instaura, quindi, in maniera stabile a Librino nel 2015 e di certo non può non colpire il nome che sceglie per definirsi: i briganti. Un nome che sembra quasi un ossimoro rispetto al lavoro compiuto dai volontari che hanno sempre rifiutato ogni forma di violenza e hanno cercato di dare ad un territorio violento, dei valori forti, veri, su cui basare la propria vita, quelli del rugby e, tra tutti, quello del rispetto. Questo nome in realtà ha, però, una sfaccettatura comune alla storia dell’associazione, quella della lotta. Come ricorda il presidente, infatti, nonostante il termine si usi di solito per indicare episodi crudi e violenti, non bisogna dimenticare che «quelle persone lottavano per difendere un territorio ed è questo il punto focale della scelta: noi siamo i briganti di Librino, lottiamo per dare un riscatto ad un territorio e alle persone che vivono quel territorio e lo facciamo attraverso lo sport e l’educazione».

La lotta, infatti, ha da sempre contraddistinto la storia dei briganti che, dal loro arrivo nel territorio, hanno sempre dovuto lottare contro l’assenza delle istituzioni, i pregiudizi della gente del posto e tantissimi atti intimidatori. Tutto questo, però, non ha mai fermato le attività dei briganti perché attraverso il rugby, il loro obiettivo è sempre stato quello di trovare un’alternativa alla vita che si offriva per strada e far ritrovare un senso di benessere e spensieratezza. Obiettivo raggiunto se si ascolta Giuseppe Spadaro, un giovane di 14 anni arrivato un anno fa nell’associazione, raccontarci la sua esperienza: «Devo dire che questa nuova esperienza mi ha profondamente cambiato perché non mi era mai successo prima d’ora che, durante gli allenamenti, lo stare insieme ai miei compagni di squadra mi facesse sentire più libero».

Le brigantesse e il sogno della serie A
Non solo lotte, sfide e alti valori, ma anche grandi obiettivi per un’associazione che è in forte crescita anche con un gruppo femminile. Gruppo che è stato difficile avvicinare ma che, adesso, sta dando dei fantastici risultati perché è da questa stagione che la squadra femminile seniores – le brigantesse – in collaborazione con il CUS Catania, potrà partecipare al campionato di rugby della serie A.

«Sicuramente ci aspetta una grande sfida dal punto di vista organizzativo ed economico — commenta Mirko Saraceno che fa parte anche dello staff tecnico delle brigantesse — ma le ragazze si sono allenate duramente e sono pronte per affrontare questa nuova sfida e io sono molto fiducioso e sicuro che faranno bene».

Dello stesso avviso sono le ragazze, tra queste Agata Vasta che è approdata tra le brigantesse quattro anni fa, ha deciso di parlare di rugby nella sua tesi di laurea, allena la Under 12 femminile e da settembre vivrà questa nuova avventura in serie A. «Da quest’anno siamo in serie A. Questo è uno dei momenti più significativi che riguardano la mia vita sportiva – dice la 24 enne — è straordinario, ma fa anche paura perché non sai cosa c’è dietro. Però il rugby ti insegna che non sei mai da solo quando affronti nuove situazioni e la mia squadra è ormai una seconda famiglia. Quindi sì, la paura c’è, ma ci servirà per tirare fuori il meglio di noi».

Fiducia, speranza e paura che, però, non distrugge, ma che aiuta a tirare fuori il meglio di sé: queste le parole dei Briganti a Librino che, però, queste parole, dovrebbe sentirsele dire più spesso. Perché Librino non è malavita, violenza e degrado, ma è la bellezza di tutti i volontari che operano e vivono ogni giorno nel quartiere e la felicità e la spensieratezza negli occhi dei più piccoli che, grazie ai vari centri e associazioni del quartiere, scoprono che un’alternativa c’è sempre. E questa alternativa può portare in alto, perché le Brigantesse in serie A non sono che il primo passo.

__

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons