Ruffini: Il papa ci chiede di ripartire dal Vangelo

Tre domande a Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione. "Se guardo ai prossimi appuntamenti - commenta  - penso che il papa dia molta importanza al sinodo nel senso della riscoperta che noi siamo in cammino, non siamo una Chiesa ferma".
Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione. Foto di Sara Fornaro
Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione. Foto di Sara Fornaro

«È capitato anche a Gesù di non essere capito, quindi figuriamoci se non può capitare anche a noi, ma questo non vuol dire rinunciare alla testimonianza e alla certezza che questa testimonianza porterà frutto». Lo afferma Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione, in questa intervista fatta negli spazi del santuario di Nostra Signora di Lourdes, in Francia, a margine delle 26sime Giornate internazionali di San Francesco di Sales.

Il prefetto ha parlato, tra le altre cose, dell’importanza del dialogo, della testimonianza, del confronto, del pregare insieme. Il 13 marzo di quest’anno, inoltre, ricorreranno i dieci anni di pontificato di papa Francesco. In vista di questo importante anniversario, Ruffini ricorda con noi le priorità di Bergoglio. «Se nel sinodo – afferma – sapremo riscoprire la bellezza di ciò che ci unisce, la bellezza del testimoniare insieme, la bellezza del cambiare ciò che può essere cambiato nel tempo che c’è dato, la Chiesa ritroverà le vocazioni sacerdotali, le vocazioni laicali».

Paolo Ruffini prefetto del dicastero vaticano per la Comunicazione. Ci troviamo nel santuario di Lourdes per discutere insieme a tanti giornalisti e comunicatori dell’importanza per i media cattolici di far sentire la propria voce. Perché è importante e perché riflettere insieme?
È importante perché viviamo in un mondo confuso, che ha bisogno di cercatori di verità che non abbiano altri interessi che cercare la verità e noi possiamo offrire la nostra testimonianza. È importante incontrarsi ed è importante anche incontrarsi qui, perché non c’è niente di più forte e di più bello che rinsaldare la comunità di quello che siamo e di farlo in un luogo che ci consente di confrontare i nostri pensieri, le nostre difficoltà, le nostre idee e di pregare insieme, perché senza la preghiera, senza la comunità e senza il confronto, perdiamo l’essenza di quello che siamo.

Noi siamo chiamati a testimoniare la verità e a farlo attraverso il lavoro dei giornalisti, che è un lavoro difficile e che – se non troviamo il tempo per fermarci, per riflettere, per confrontarci, per pregare insieme – alla fine rischia di travolgerci. Viviamo in un mondo che ha perso a volte il senso della bellezza, che ha perso il senso più profondo dell’umanità e a volte rischiamo di essere travolti anche noi, di diventare sordi tra sordi. Allora rincontrarsi, trovare il tempo per il silenzio, per la preghiera, il tempo per il confronto, ci aiuta.

Ruffini, in questo mondo così rumoroso, ma anche diviso e polarizzato è davvero percorribile “la via del cuore” che suggerisce papa Francesco quando invita a dire la verità, ma con carità, empatizzando con le persone e comunicando – per usare le sue parole – cordialmente? Non si rischia di non essere ascoltati, in mezzo a tante voci che urlano?
Io penso esattamente il contrario: che si rischia di non essere ascoltati, anzi che ci sia la certezza di non essere ascoltati se ci si unisce ad un coro stonato, conformista, a un vociare inutile. Questo non vuol dire che non c’è la difficoltà di essere ascoltati, a volte anche di essere fraintesi: è capitato anche a Gesù di non essere capito, quindi figuriamoci se non può capitare anche a noi, ma questo non vuol dire rinunciare alla testimonianza e alla certezza che questa testimonianza porterà frutto. Comunicare col cuore vuol dire sostanzialmente risalire all’essenza di quello che siamo: uomini, per noi che crediamo, con il soffio di Dio dentro di noi, che cercano nell’amore e nella relazione la verità. A volte non se ne rendono conto, a volte pensano o vengono indotti a pensare che non sia lì la felicità che cercano e non la trovano e questo aumenta il vociare, l’insoddisfazione, la confusione e aumenta la menzogna e il non trovare la verità.

Quello che ci dice il papa è: fermatevi un secondo, riscoprite la bellezza di quello che siamo, provate a entrare in empatia con gli altri attraverso il cuore puro. Sappiamo che il cuore può anche non essere puro: siamo uomini, può capitare, però lavorate per purificare il vostro cuore, per metterlo in relazione agli altri, e forse scoprirete la verità che cercate, che poi la verità fondamentale che cerchiamo, in senso non giornalistico, ma in senso proprio trascendente, è l’amore. Allora attraverso questa verità delle verità, che è la rivelazione, poi scoprirete anche le verità piccole che cercate come giornalisti e scoprirete forse che anche nel male potete trovare un seme di bene, anche nella storia più assurda ci può essere un dinamismo del bene che la redime. A volte noi cristiani finiamo con il dimenticare che Gesù è venuto per redimerci dai nostri peccati e che la storia della redenzione è una storia di redenzione dal peccato. Se noi raccontiamo il male soltanto come un male immobile non so se facciamo un buon mestiere di giornalisti cristiani. Il papa ci dice: provate a ricominciare dall’inizio, provate ad ascoltare e a vedere con il cuore e a parlare con il cuore e vedrete che probabilmente anche il vostro giornalismo sarà più ascoltato e imprimerà un dinamismo di bene nella storia.

Si avvicinano i dieci anni di pontificato di Papa Francesco, un pontificato cominciato in maniera particolare, con Benedetto XVI che si era dimesso. In questi dieci anni sono tanti i risultati raggiunti da Francesco: qual è secondo lei il principale rispetto ai vari settori in cui si è impegnato: penso all’ambiente, ai giovani, alla famiglia, ai poveri… E quale crede che sia il desiderio, l’obiettivo, che vorrebbe raggiungere in questo momento il papa?
Penso che papa Francesco abbia cercato di rispiegare il senso del messaggio cristiano ripartendo dalle sue basi, dal Vangelo, sfidando, interpellando ognuno di noi a fare lo stesso, di sfrondarlo da tutto quello che è una sovrastruttura, per riportarlo all’essenziale e lo ha fatto in tanti campi e in continuità con il magistero, però insistendo su queste cose. Cosa vuol dire la Chiesa in uscita? Vuol dire ricordatevi che tutto quello che farete a me in un altro, in un povero, in una persona che ha bisogno lo avete fatto a me e non solo alla persona che ha bisogno. A volte lo dimentichiamo! Questo lo ha fatto sul tema della povertà, della migrazione, sull’ecologia ha detto che non è una sovrastruttura di verde su una cosa che non funziona. È un’ecologia integrale che riguarda la persona umana, l’economia e riguarda lo sviluppo, che noi possiamo dare attraverso i nostri comportamenti al mondo, nel bene e nel male e così via. Pensiamo alla fratellanza, al dialogo, pensiamo a come ci ha reinsegnato a pregare… Io penso che il suo obiettivo sia quello di seminare, che lui abbia ben chiaro che ognuno di noi – e quindi anche il papa che ci guida – non deve avere l’ossessione di un risultato immediato, ma deve avere la pazienza del tempo, seminando secondo quello che il Signore ci ha insegnato, con pazienza e con misericordia.

Un’altra cosa che il papa ci ricorda sempre – ha indetto un anno Santo su questo – è la misericordia. Non c’è cristianesimo senza misericordia, la misericordia di Dio è l’amore di Dio, è riconoscerci tutti peccatori e sapere che possiamo sempre ricominciare. Credo che bisogna avere la pazienza e non avere pensare di fare il bilancio come si fa in un’azienda. Il risultato immediato è quello che cambierà in ognuno di noi e poi il resto è la storia che cammina ed è affidato al Signore che cammina nella storia attraverso di noi.

Se guardo ai prossimi appuntamenti, penso che il papa dia molta importanza al sinodo nel senso della riscoperta che noi siamo in cammino, non siamo una Chiesa ferma. Siamo in cammino e dobbiamo camminare nella storia testimoniandola. Nel sinodo siamo chiamati tutti noi: il risultato non è degli altri, non è del papa, è della Chiesa tutta, siamo tutti in cammino. Se nel sinodo noi sapremo riscoprire la bellezza di ciò che ci unisce, la bellezza del testimoniare insieme, la bellezza del cambiare ciò che può essere cambiato nel tempo che c’è dato, la Chiesa ritroverà le vocazioni sacerdotali, le vocazioni laicali, e riscoprirà la bellezza di questo cammino se qualcuno lo ha perduto. Non c’è bellezza se non sei in cammino. Se qualcosa si è fermato vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Penso che questo sia quello che ci aspetta tutti come credenti e quello che il papa ci spinge a fare con lungimiranza e con umiltà.

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