Rostropovic musica per la libertà

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Roma, dicembre. Compie nella capitale 75 anni, Mstislav, nato a Barku, in Azerbadjan, ma ormai cittadino del mondo. Due luminosi occhi azzurri sul volto grande e sereno, lampi di fiamma quando tocca argomenti che gli stanno a cuore, un’ottima resistenza alla fatica. Pluripremiato (48 lauree honoris causa, eccetera eccetera), conteso dai teatri internazionali, per lui hanno scritto musicisti del calibro di Britten, Prokof’ev, Bernstein. Ama incredibilmente la libertà: ha ospitato a casa sua per quattro anni lo scrittore Solz?enicyn. Eppure, ammette meravigliato un giovane orchestrale, «è molto umile con tutti noi; ringrazia sempre ciascuno». «Mi sono rimaste buone le mani e la memoria» esordisce scherzando. E perciò si abbandona facilmente ai ricordi. Maestro, lei è qui per eseguire la “Lady Macbeth” di Sostakovi?c, un compositore a cui è stato molto legato. «L’ho conosciuto mentre studiavo al Conservatorio di Mosca. Avevo solo sedici anni, ma ho avuto la fortuna di capire che era un genio. Del resto, uno che scrive la Lady a ventiquattro anni… L’opera non piacque a Stalin, ed egli ne fu amareggiato. Nel ’63 la ripropose, con molti cambiamenti e col titolo di Katerina Izmajlovai: quella fu la prima e unica volta in cui suonai il violoncello in orchestra». Fino a quando è durata la vostra amicizia? «Fino al ’74, quando sono stato cacciato dalla Russia. Salutandoci, sentivamo entrambi che non ci saremmo più rivisti. È stato il momento più brutto della mia vita. Lui è rimasto: del resto, aveva la moglie e la figlia da mantenere e, se fosse andato via, la famiglia ne avrebberisentito e lui non sarebbe più potuto ritornare ». Lei è venuto in occidente. Sono stati difficili quei primi anni? «Paolo Grassi, allora sovintendente alla Scala, aveva aderito alla mia proposta di darvi la Lady. Posseggo ancora l’invito a Sostakovi?c perché vi presenziasse. Ma a causa dei comunisti – russi e italiani – non se ne fece nulla. «La mia prima tappa comunque fu Roma: alloggiavo gratuitamente all’albergo Vittoria, non avevo denaro né impegni artistici. Di quegli anni ricordo un episodio bellissimo. Il papa Paolo VI mi ricevette in udienza, fu molto affabile. Al momento del congedo, mi disse: “Lei ha un solo problema da risolvere”. Mi meravigliai, perché avevo la testa piena di problemi: come mantenere la famiglia, le figlie… e lui invece a dirmi che ne avevo uno solo. Gli chiesi: “Quale, allora?”. Mi ha risposto: “Lei sa che fra la terra e il cielo, fra qui e Dio c’è una scala: lei ne ha fatto una metà. D’ora in poi, qualunque cosa faccia, sia per salire un gradino, non per scendere”. «Parole per me indimenticabili. Tuttora, prima di fare una cosa, mi chiedo se mi fa salire un gradino di questa scala o no: e se per caso discendo, la prossima volta devo rifarne almeno due o tre». Maestro, tutti siamo stati colpiti dal fatto dell’11 settembre scorso. Lei, come l’ha vissuto? «Come un pugile che è stato messo a ko: moralmente, nel mio caso. Perché da quel momento bisogna riscrivere la storia dell’umanità. Come importanza epocale, è stato simile alla rivoluzione russa del 1917: solo che allora il fatto era limitato ad un’unica nazione, qui invece riguarda il mondo intero. Eppure, si sarebbe potuto evitare se ci avessimo pensato almeno dieci anni prima, dando istruzione e cultura. Adesso, sono sempre più convinto che dobbiamo essere più buoni. Per esempio, invece di costruire una nave da guerra che costa miliardi, perché questa cifra non la devolviamo per far nascere duecento scuole di musica in Afghanistan? Un bambino, anziché ricevere dal padre le armi giocattolo, avrebbe un flauto, un violino: sarebbe diverso, non ci sarebbe più la tentazione della guerra». Torniamo all’Europa. L’Unione Sovietica si è dissolta senza spargimento di sangue. Come ha interpretato questo fenomeno? «Un miracolo divino. Perché la Russia, e tutti gli stati satelliti, avevano armi nucleari. Immaginarsi cosa sarebbe potuto succedere. Invece, non è accaduto nulla di questo. Adesso, finalmente si comincia a vedere qualche miglioramento: si mettono in prigione i ladri… Ma ci vuole pazienza, perché tanti non hanno capito bene la parola “libertà” ». Maestro, dove vive attualmente con sua moglie Galina e le sue figlie? «Fra San Pietroburgo, Mosca, Parigi, Londra, Basilea. Ma quest’anno il Natale lo passo a Roma, dove vengo ormai da quando – 50 anni fa – feci parte del primo gruppo di artisti autorizzati da Stalin a esibirsi in Italia per suonare musiche russe. Sono sempre tanto contento di venire in Italia». Lei ha tenuto concerti di beneficenza in tutto il mondo e sostiene parecchio anche i giovani msuicisti. «Ho creato a Washington una fondazione per l’aiuto della pediatria in Russia, e poi altre a favore di giovani musicisti in Germania e a Mosca. Tuttora parecchi musicisti dell’Est emigrano in occidente per ragioni economiche. Ma credo che se queste miglioreranno, molti torneranno in Russia, dove ci sono giovani assai promettenti, come il pianista Kissin». A 75 anni, ha ancora un sogno nel cassetto? «Sì, vorrei suonare quanto prima a Kabul. Come ho fatto nell’89 a Berlino, mentre si demoliva il muro.

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