Rossini. L’incantatore

Gente come Dario Fo e Luca Ronconi. Stuzzicati da Rossini, possono o rinvigorire la tradizione (non è affar loro) o darsi alla sperimentazione selvaggia. Il Pesarese li ha sedotti con suprema intelligenza e ha dato equilibrio alla loro fantasia, rendendola come la sua musica: ritmo e luce. Così è accaduto che lo Stabat Mater, diretto dal gran saggio Alberto Zedda, svelasse morbidezze e intimità, alleggerendo la teatralità in dolcezza, cui si prestava, nel cast, la voce duttile e rugiadosa del mezzosoprano Marianna Pizzolato. Mentre Dario Fo commentava i due atti della strampalata Gazzetta con una verve inimitabile, in un balletto di figurine e situazioni giocose e maliziose che, come vuole Rossini, mai toccano la volgarità, ma satireggiano la vecchia opera buffa fatta di spasimanti e di matrimoni combinati, in cui tutto finisce bene. Certo, con attoricantanti come Bruno Praticò – fra i migliori buffi mondiali – e Cinzia Forte – che sa cantare ballare eccetera – e un tenore languido come José Manuel Zapata, la musica suona nuova, anche se zeppa di autoimprestiti, tanto la controscena di Fo come le gag in napoletano di Praticò rendono lo spettacolo scatenato. Stesso alto risultato per Bianca e Faliero, dove il musicista regala melodie cullanti come nell’incantato finale, cui un’orchestra pulita – la Sinfonica de Galicia – diretta con intelligenza amorosa da Renato Palumbo ha dimostrato cosa sia la purezza del suono rossiniano. Allestimento creativo con il Leone veneziano che si apre e chiude su interni vetrati, mentre la storia dell’amore contrastato fra i due giovani del titolo trova credibilità in un cast che ha la forza trainante nel mezzosoprano Daniela Barcellona, dal ritrovato splendido timbro luminoso. Ma forse il mattatore del Rof 2005 è stato Il barbiere di Siviglia. Ronconi ha avuto la genialata di portarlo agli anni Quaranta del Novecento a commentare, fra disincanto e nostalgia, un vecchio filmato dell’opera tra vetture, un salone da barba, cineoperatori, i cantanti e le scene a blocchi salire e scendere appesi come burattini a fili reali, recitando con una mimica piacevolissima. Nessuna offesa alla musica, di per sé spettacolo di levigata ironia e di chiarezza, in cui la direzione di Daniele Gatti ha insistito sul ritmo e sui colori – forse troppo, vedi il Finale primo -, grazie all’egregia Orchestra del Comunale di Bologna (meravigliosi i legni). In quest’edizione un cast eccellente. Dal finissimo buffo Bruno De Simone (Bartolo), alla maliziosa Joyce Didonato (Rosina), al Figaro strapotente di Dalibor Jenis, a Natale De Carolis (Basilio), fino al Conte di Juan Diego Flòrez, prodigio di belcanto e intelligenza scenica: anche se talora gigioneggia, coniuga grazia e forza con suprema eleganza. Ed è questa eleganza, tipica di Rossini che il Festival offre in edizioni di livello ormai mondiale.

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