Roméo et Juliette

Musica di Charles Gounod. Milano, Teatro alla Scala.
Romeo e Giulietta

Peccato che in Italia il Roméo di Gounod sia poco eseguito. Perché è una gran bella musica. Gounod certo non è un drammaturgo di ferro come Verdi – che lo rimproverava in tal senso –, e perciò del dramma scespiriano coglie il lato amoroso, romantico, lirico puro. Come Bellini nei suoi Capuleti di oltre trent’anni prima – il Roméo è del 1867 – ma, a differenza del catanese, Gounod non scolpisce il pianto e l’amore in frasi classico-romantiche; crea invece un’atmosfera vaporosa, soffice, elegante: una raffinatezza molto francese, di una sensualità scoperta ma non aggressiva, come sarà più tardi la Carmen di Bizet.

 

L’allestimento scaligero, nato a Salisburgo, presentava un’unica scena un poco buia, più o meno classica: costumi fra Cinque e Settecento, regia – di Bartlett Sher – piuttosto atletica e muscolare, direzione musicale eccellente del debuttante (alla Scala) canadese Yannick Nézet-Séguin: sicuro, deciso, morbido quanto basta, accompagna bene i cantanti. Fra loro emergono il romano Vittorio Grigolo, voce ampia e fresca, oggi una rarità, cui si consiglia maggior cura nelle sfumature e la Juliette di Nino Machaidze, dolce nei ben quattro duetti d’amore di un’opera che, in fondo, è un unico respiro del sentimento durante cinque atti, che volano via come un soffio.

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