Rita, una santa “per tutti”

Il 22 maggio Cascia è in festa. A colloquio con suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del monastero. Tratto dal numero di maggio della rivista Città Nuova 
L'urna con il corpo di Santa Rita, al'interno della basilica (foto del monastero).

Il 22 maggio si festeggia Santa Rita da Cascia: giorno di grande importanza per il borgo umbro che ospita il santuario a lei dedicato, e il monastero dove la santa visse. In virtù della sua storia “poliedrica” – fu sposa, madre e monaca, entrando in convento dopo aver ricomposto le rivalità tra famiglie che avevano portato alla morte violenta del marito – Santa Rita è punto di riferimento per tante persone: che in questo periodo più che in altri si recano in pellegrinaggio a Cascia. Lì trovano, disponibili all’ascolto, le monache agostiniane. Abbiamo parlato con la madre priora, suor Maria Rosa Bernardinis.

Suor Maria Rosa Bernardinis (foto del monastero di Santa Rita, Cascia)

Madre, quali motivazioni spingono oggi i pellegrini a Cascia?

Chi arriva qui spesso ha fatto personalmente l’esperienza dell’aiuto e della protezione di Santa Rita, oppure l’ha conosciuta tramite i genitori o i nonni. Molti arrivano per trovare sollievo, affidando i propri problemi alla Santa e cercando in noi una presenza di ascolto: tanti poi ci richiamano, e rimane il legame con Santa Rita e la comunità. Vediamo che la gente apprezza questo nostro servizio di ascolto e consolazione: oggi purtroppo non c’è nessuno che ascolta, e l’ascolto è prima di tutto un’esperienza di carità. Significa entrare in empatia con l’altro, capire che cosa sta cercando di dirmi, non pretendere di arrivare a soluzioni ma cercarle insieme. In questo modo, anche i fallimenti possono diventare un gradino per la ripartenza.

Santa Rita è stata moglie, madre e monaca: che cos’ha oggi da dire agli sposi, ai genitori e ai consacrati?

Agli sposi ciò che Santa Rita ha fatto comprendere è che l’amore, per essere duraturo, non può essere solo umano: deve trasformarsi da eros a agape, un amore che si fa dono. E per questo serve l’aiuto di Dio. È un amore esigente, ma che porta grande pace e serenità. Molte coppie, giovani e non, arrivano qui in una fase di passaggio tra questi due tipi di amore. Le aiutiamo a capire a che punto sono, a non scoraggiarsi, non dubitare dell’amore di Dio, e aspettare con fiducia e speranza anche l’altro faccia il proprio passo: attendere i tempi dell’altro è già dimostrazione di amore.

Ai genitori ricorderei che Santa Rita ha sperimentato l’amore prima di tutto nella sua famiglia: i primi anni di un bambino sono fondamentali, perché solo chi è amato è capace di amare. Sentire di essere amati, voluti, è una consapevolezza che i figli portano con sé anche nell’adolescenza, quando più facilmente c’è un allontanamento; e quel che si semina prima o poi si raccoglie, dando fiducia ai figli e aspettando il loro momento, affiancandoli senza imporsi perché costruiscano con le proprie capacità il loro futuro. Anche il padre del figliol prodigo ha sempre atteso con fiducia e accoglienza, cosa che spesso oggi manca; e con il nostro ascolto vogliamo anche aiutare i genitori ad accompagnare i figli, con l’aiuto dello Spirito Santo.

Ai consacrati, infine, Santa Rita ricorda che il suo percorso ha trovato la pienezza nel dono di sé a Dio non confidando nelle sue forze ma nel Signore: tanto che è riuscita a portare pace in famiglia e in paese e non lasciarsi sconfiggere dalla sofferenza, diventando partecipe della redenzione di Cristo. E questo legame tra sofferenza e redenzione è qualcosa di sconvolgente anche per noi religiosi: dire “quello che soffro Te lo offro” è una dimostrazione a chi vive il dolore come sconfitta che si tratta invece di un passaggio per la Resurrezione.

Il vostro è un monastero di clausura. La reclusione forzata durante la pandemia ci ha posti tutti, nel bene e nel male, davanti ad un rientro in noi stessi, alla riflessione e alla contemplazione: voi, che avete fatto questa scelta di vita, come la vivete nel quotidiano?

La vita monastica è un dono di Dio, e come tale va accolta; e con la consapevolezza che è un dono non solo per la Chiesa ma per tutta l’umanità, perché là dove l’amore sovrabbonda si riversa su tutti. La vita monastica è richiamare un mondo preso dalle situazioni contingenti alla vita alla quale tutti siamo destinati: cosa che peraltro non è data solo ai consacrati, perché ci sono tante persone – soprattutto molte mamme – che hanno il dono della contemplazione, ossia di saper cogliere la presenza di Dio nella Storia. Le monache per prime dovrebbero richiamare a questa speranza. La pandemia ha fatto emergere in maniera molto più forte la necessità di una preparazione e di una vocazione solida per questa vita, che ovviamente non è per tutti: e c’è peraltro da rilevare che anche la crisi delle vocazioni in certe comunità si sta superando, anche se non saprei dire il perché.

Nel parlare con voi monache si rimane colpiti da come, pur vivendo “fuori dal mondo”, abbiate una visione sul mondo molto più acuta di chi ci vive, ma magari senza fare attenzione…

Questo perché viviamo nel tempo e quindi siamo attente ai bisogni delle persone del nostro tempo, come lo è stata Santa Rita. Ma anche la beata Madre Teresa Fasce, che nel 1938 ha fondato come orfanotrofio quella che oggi è la casa di accoglienza per minori provenienti da famiglie in difficoltà “Alveare di Santa Rita”. Abbiamo poi creato in tempi più recenti la Fondazione Santa Rita da Cascia, per andare incontro alle necessità del territorio. Al momento stiamo sostenendo la ricostruzione dell’ospedale di Namu, in Nigeria, andato distrutto da un incendio: si è già riusciti a creare uno spazio per la maternità e l’infanzia, ma c’è ancora molto da fare. Per questa festa di Santa Rita siamo dunque protese verso quest’opera di carità [è possibile fare una donazione all’indirizzo https://devoti.santaritadacascia.org/festa/dona/, ndr].

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