Riscoprire padre Jean Daniélou

Una figura poliedrica, dentro e fuori la Chiesa cattolica. Un innovatore nel campo della teologia e un pioniere dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso. La sua fine controversa. Ne parliamo con padre Marcelo Bravo Pereira
Giorgio La Pira e Jean Daniélou a Firenze nel 1953 (wikipedia)

Padre Marcelo Bravo Pereira, Legionario di Cristo, cileno, teologo, direttore dell’Istituto Superiore Scienze Religiose dell’Ateneo Regina Apostolorum di Roma, da più di 10 anni si occupa della teologia del cardinale Jean Daniélou, in particolare di rapporto del Cristianesimo con le religioni, teologia della storia e rapporto tra Cristianesimo e cultura, proprio gli ambiti che Daniélou ha affrontato. Recentemente ha creato un blog per promuovere la sua figura e il suo pensiero.

Perché parlare oggi di Daniélou? Chi era Daniélou?

Per le mie ricerche mi sono sempre occupato del dialogo interreligioso, e Jean è un pioniere della teologia delle religioni fin dal 1946. Sono rimasto affascinato dalla sua figura poliedrica e della sua visione di cristianesimo: lui ha studiato i Padri della Chiesa, è stato chiamato da Giovanni XXIII come perito al Concilio Vaticano II, dove è stato figura di spicco non solo per la sua dottrina ma anche per il lavoro nelle commissioni per la Dei Verbum e la Gaudium et Spes. Tra l’altro è stato uno dei primi grandi comunicatori commentando le diverse fasi del Concilio, soprattutto in un periodo in cui le informazioni venivano solo da una agenzia di stampa che travisava il Concilio stesso. Nel 1969 è stato nominato cardinale da Paolo VI.

Una figura di spicco in Francia, anche prima di entrare in seminario…

Jean Daniélou appartiene ad una generazione di intellettuali cattolici: è figlio di Charles Daniélou, ministro francese, e di Madeleine Clamorgan, grande pedagogista cattolica. Amico di Emmanuel Mounier, è stato alle origini della rivista Esprit e compagno di università di Jean Paul Sartre. Conosceva la coppia Maritain, ha fondato riviste e frequentava circoli culturali. Finché poi è entrato in seminario come Gesuita. Ha stimolato tante vocazioni missionarie e di laici impegnati nel dialogo ecumenico e interreligioso. In questo è stato un pioniere.

Si è occupato tra l’altro di ateismo…

Ha letto tutto Il capitale di Marx – cosa che pochi marxisti avevano fatto –. Riteneva che la filosofia della storia del marxismo fosse solo una secolarizzazione atea della visione cristiana della storia. In pratica un sottoprodotto del senso della storia di matrice giudeo-cristiana. Ha partecipato a dibattiti all’epoca molto famosi, per esempio col marxista francese Jean Garaudy.

Riguardo alla teologia delle religioni la sua posizione si differenziava da quella del teologo Rahner…

Secondo la cosiddetta “tendenza Daniélou” – termine coniato dalla Commissione Teologica Internazionale –, tutte le religioni e le aspirazioni verso Dio trovano il loro compimento nel Cristianesimo, nella novità di Cristo. Invece secondo la “tendenza Rahner” Cristo è presente in tutte le religioni. Entrambi hanno in comune il fatto che la salvezza si trova solo in Cristo, ma per Daniélou, a differenza di Rahner, le religioni non hanno valore in sé stesse, vanno verso Cristo che è il compimento. La posizione di Rahner è senz’altro più articolata, più teologica, più seguita oggi, ma ha portato alcuni teologi a relativizzare la figura di Cristo, perché, secondo loro, non possiamo imporre la figura di Cristo a coloro che non credono in lui come salvatore. La posizione di Daniélou è stata assunta come punto di partenza dopo il Concilio, anche se deve essere ancora completamente sviluppata e integrata con le posizioni di altri teologi più recenti.

Un personaggio importante nella vita della Chiesa (e non solo) del secolo scorso, che però è stato oscurato in parte dalle circostanze della sua morte…

Purtroppo è così. Quello che noi sappiamo, al di là delle fantasticherie che sono state alimentate nel tempo, è che è morto nell’appartamento di una prostituta, vestito in borghese e con una somma di denaro addosso (3.000 franchi dell’epoca). Da qui sono nate una serie di ipotesi le più svariate: chi affermava che il cardinale conduceva una doppia vita, chi invece (specialmente coloro che l’hanno conosciuto da vicino) sottolineava la trasparenza e correttezza della sua vita. Da diversi anni, vestito come un anziano venditore di libri, il cardinale era entrato in contatto con i gruppi delle periferie esistenziali di allora: maoisti, hippies, drogati, prostitute.

Come cappellano alla scuola normale di Sèvres, era profondamente preoccupato dal fatto che alcune ragazze si lasciavano tentare da un certo tipo di vita, che le portava perfino alla prostituzione. Si domandava perché. Dopo la sua morte, si raccolsero delle testimonianze di alcune prostitute che riferirono come lui si avvicinava loro per parlare e cercare di capire la loro condizione, senza mai un contatto o un interesse fisico e sessuale. Per quello che ho potuto rilevare nelle mie ricerche sull’argomento, negli archivi a Parigi e negli incontri con i suoi discepoli, cinquant’anni fa lui si sarebbe recato da questa donna con l’intenzione di portarle dei soldi per pagare l’avvocato per il marito che era in prigione. Questo lo sappiamo con certezza.

È stata ricostruita quasi tutta la cronologia dei suoi spostamenti, quel giorno: è uscito da casa sua e doveva rientrare entro un’ora e mezzo, mezz’ora per andare, mezz’ora per tornare. Viene colpito da un infarto mentre sta entrando dalla donna, la quale chiama subito la polizia. Muore quasi immediatamente. La ricostruzione esclude chiaramente altre ipotesi più maliziose.

Probabilmente non sapremo mai con certezza la verità su questo punto…

Per quanto ho potuto trovare, in Daniélou non si rileva alcuna ombra di abuso di coscienza, e quanto meno sessuale nei confronti di nessuno. Le sue studentesse, discepole e figlie spirituali affermano che lui è stato sempre di una grande correttezza e trasparenza. D’altronde la donna ha sempre affermato che tra loro due altro non c’era che ammirazione e grande affetto, senza contatto sessuale. Comunque, anche nel caso avesse avuto una fragilità o un rapporto oltre i limiti della sua consacrazione, la sua morte è stata poi strumentalizzata, nel travaglio culturale e sociale del dopo Concilio, dai media e perfino da alcuni confratelli infastiditi dalla sua lotta per una corretta interpretazione del Concilio Vaticano II. In pratica è stato insabbiato il bene che ha fatto, mettendo in evidenza solo il sospetto della sua morte.

Al di là di questo, come possiamo valutare la sua vita?

È stato un pioniere in quasi tutto quello che viviamo oggi: dall’andare nelle periferie, al dialogo con la cultura. Ultimamente sul mio blog ho inserito un mio articolo, pubblicato precedentemente sull’Osservatore Romano, sulla sintonia tra Daniélou e Paolo VI. In lui troviamo la fedeltà alla dottrina tradizionale, ma senza ombra di bigottismo. Aveva un fratello omosessuale, che renderà testimonianza di quanto lui non tentasse di cambiarlo, ma di capirlo. Ogni mese, con molta discrezione celebrava una messa per gli omosessuali. A livello personale era di grande apertura, ma fedele alla dottrina. Ha promosso il ritorno ai Padri della Chiesa e un rinnovamento della teologia.

La sua eredità teologica e spirituale è stata completamente dimenticata, ma adesso che stanno per compiersi 50 anni dalla sua morte (nel maggio 2024) penso sia il momento di ritornare al suo insegnamento. Non per canonizzarlo, lui ci mostra quanto fragile sia l’uomo, era alle volte insofferente come temperamento, ma per mettere in evidenza una ricchissima dottrina in ambito di teologia delle religioni, teologia della missione, teologia del ritorno alle fonti, teologia del dialogo con la cultura. Anche se fosse vero che ha avuto una fine non corrispondente alla sua vita di consacrato, ciò non toglie niente alla sua grandezza.

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