Riparo, riuso, recupero

Nell’Italia della crisi si va diffondendo la consuetudine di rimettere in circolo gli oggetti, aggiustarli e scambiarsi beni.
Un negozio di seconda mano

Diminuiscono i consumi, aumentano le riparazioni, cresce il riutilizzo degli oggetti. Questa, che rientra nella nota filosofia delle “quattro erre” (ridurre, riutilizzare, riciclare e recuperare), potrebbe essere la fotografia delle abitudini degli italiani in tempi di crisi. Se prima un elettrodomestico guasto veniva facilmente sostituito e un capo di abbigliamento con uno strappo era subito rimpiazzato da un nuovo acquisto, oggi le cose sembrano essere cambiate.
Chiedetelo a Giuliano Andreucci, responsabile di Zyp, una catena di negozi che ripara abiti, moltiplicatisi in un batter d’occhio e sempre in grande attività. Complice la mancanza di tempo e anche l’incapacità sempre crescente di fare quei piccoli lavori di sartoria che per le nostre mamme erano all’ordine del giorno, i negozi rosa (dal colore degli infissi che li caratterizza), hanno intercettato sicuramente un bisogno diffuso.

Il ragazzo della bottega sotto casa mi racconta che le richieste riguardano soprattutto il cambio di una cerniera rotta, oppure la riparazione di qualche strappo, ma anche la trasformazione, con qualche piccolo accorgimento, di un capo d’occasione da usare in cerimonie diverse, nonché il rattoppo creativo di un cappotto da usare il più possibile.
La vera novità sembra però venire dal settore degli elettrodomestici, dove il verbo riparare negli ultimi anni ha trovato una sempre più grande accoglienza. Secondo dati dell’Associazione riparatori elettrodomestici di Torino, viene aggiustato infatti il 40 per cento delle lavatrici, il 35 per cento dei ferri da stiro con caldaia, il 30 per cento delle lavastoviglie, il 15 per cento dei frigoriferi, il 10 per cento dei forni a microonde. Non solo quindi gli elettrodomestici di taglia grande e dal costo consistente, ma anche quelli più piccoli e dalla spesa più abbordabile.
 
In quanto al riutilizzo, certamente abbiamo ancora sotto gli occhi nel mese di settembre le lunghe file ai mercatini del libro usato: sempre di più gli studenti vi fanno ricorso per guadagnarci qualcosa, vendendo quelli non più in uso e per risparmiare sull’acquisto di quelli da utilizzare nell’anno. Ma si diffonde pure l’abitudine a mettere in rete annunci di offerte o richieste di beni non più necessari, o che lo sono solo per un periodo.
Fra le tante iniziative che vanno in questa direzione segnaliamo il “cassonetto Rca – rifiuto con affetto”. Si tratta di un progetto nato dall’iniziativa di Maddalena Vantaggi, designer dell’Università di Venezia, che, con due colleghe, ha creato un cassonetto-vetrina, dove depositare gli oggetti che si vorrebbe dar via perché non ci servono più, ma ai quali siamo affezionati. La filosofia di fondo è che ciò che appare inutile per una persona può diventarlo per un’altra; inoltre, la vetrina spesso diventa luogo di scambio tra oggetti e occasione di incontro tra persone.

Tra gli effetti non di poco conto va sottolineato il fatto di rimettere in circolazione beni ancora in buono stato e allungare il ciclo di vita di un oggetto. A tal proposito torna in mente quanto sostiene Guido Viale, economista, autore del libro La civiltà del riuso (ed. Laterza), che, cioè, anche gli oggetti hanno un’anima. Essi «sono la creatività, la fatica e le attenzioni che hanno contribuito a produrli, e poi la cura di cui sono stati circondati durante la loro vita. Il loro riuso è il modo in cui il consorzio sociale, o amicale, o famigliare, raccoglie e valorizza» tutto ciò.

L’economista parla anche di alcuni ostacoli nella promozione di una cultura del riuso: quelli che si frappongono all’intercettazione di quanto viene dismesso; la mancanza di abilità tecniche necessarie per il recupero e la manutenzione degli oggetti vecchi; ostacoli di tipo amministrativo e fiscale. Ma sostiene anche che una civiltà del riuso non è impossibile da realizzare e conviene a chi cede e a chi acquista, fa diminuire la produzione di rifiuti, stimola la condivisione e la socializzazione e aumenta l’occupazione. In effetti, sono 12 mila gli addetti al settore della vendita al dettaglio di oggetti di seconda mano; e, se il settore crescesse, forse pure il Pil ne risentirebbe meno, anche se non aumenterebbero i consumi. Alla lunga, però, consumare meglio avrebbe benefici duraturi anche sul Pil.

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