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Rinoceronte grigio o cigno nero? La guerra in Europa e la nostra responsabilità

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Il conflitto in Ucraina, con le sue possibili involuzioni, rientra nella metafora del “rinoceronte grigio” che indica un evento catastrofico prevedibile ma volutamente ignorato, come le conseguenze disastrose dell’inquinamento. Il paragone storico con la società del 1914 e la necessità di non arrendersi all’ineluttabilità degli eventi

La soria e il rinoceronte grigio. Instalalzione a Londra per ricordare i soldati italiani morti durante il primo conflitto mondiale (AP Photo/Matt Dunham)

La pandemia da Covid è stata definita con la metafora del “cigno nero”, evento straordinario non prevedibile ma destinato a segnare la storia del mondo. Immagine resa nota dal matematico e filosofo libanese Nassim Nicholas Taleb.

L’irrompere di un virus globale, tuttavia, era stato previsto con largo anticipo da Bill Gates oltre che da scrittori di fantascienza e mondi distopici. E come spiega l’economista francese Gael Giraud, direttore del Center for Environmental Justice della Georgetown University di Washington, la pandemia è conseguenza diretta e prevedibile della crisi ambientale indotta dall’uomo per cui, senza una radicale conversione ecologica, sarà inevitabile andare incontro a fenomeni globali come il Covid 19 che non è affatto debellato anche per la mancanza di condivisione dei brevetti dei vaccini in continua evoluzione.

La guerra in Ucraina come i disastri ambientali, si pensi al crollo del ghiacciaio della Marmolada di inizio luglio 2022, ha, invece, le caratteristiche di un’altra immagine del mondo animale. Quella del “rinoceronte grigio” usata per rappresentare un evento catastrofico del tutto prevedibile ma volutamente ignorato per poi pagarne le amare conseguenze. Una metafora usata da Adam Tooze,  professore di Storia alla Columbia University di New York, con riferimento alla combinazione tra la tensione geopolitica tra Cina e Usa, la crisi ecologica e quella economico finanziaria.

Aprire gli occhi e vedere l’arrivo lento ma deciso del rinoceronte è necessario per scansare il pericolo ignorato nella vita quotidiana della popolazione, ma ben noto a studiosi di ogni genere. Il paragone più indovinato per definire il nostro tempo è quello dei sonnambuli, per usare l’immagine dello storico australiano Christopher Clark,  della società che andò incontro all’evento epocale della prima guerra mondale del 1914-1918. Lo storico francese Jean Jacques Becker, professore emerito dell’Università di  Paris X-Nanterre , analizzando con grande rigore una grande mole di dati, fatti e documento ante 1914, ha contestato la visione prevalente che ha dichiarato come inevitabile lo scoppio di quella guerra che continua a segnare il nostro tempo.

Per stare ai nostri giorni, il vertice Nato di fine giugno 2022 a Madrid ha segnato una svolta che non sembra essere percepita dall’opinione pubblica ma ben nota, ad esempio, al generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare, secondo il quale «dopo l’invasione dell’Ucraina, dobbiamo riconoscere che si può tornare alla guerra vecchio stile. Una missione Nato in futuro potrebbe essere non di pace, ma di guerra». E così anche Nathalie Tocci, analista dell’Istituto di affari internazionali, invita a svegliarsi dall’illusione coltivata dagli europei di vivere in un’era della pace perpetua perché la guerra, rimossa con un buona dose di ipocrisia, è ormai vicino a noi.

Probabilmente, come nota anche il giornalista di inchiesta Domenico Quirico, l’evidente disinteresse della maggioranza dei giovani davanti alla guerra in Ucraina è dovuta al venir meno del pericolo di una chiamata diretta alle armi per la sospensione dell’obbligo del servizio di leva in vigore dal 2004. I 10 mila soldati richiesti all’Italia dalla Nato, nel vertice di Madrid, come parte delle 300 mila unità delle forze di difesa rapida possono essere coperte dal personale professionale.

Eppure, nonostante questo temporaneo distacco emotivo, la guerra in Ucraina ci aiuta a capire il dilemma vissuto da chi ci ha preceduto nell’affrontare vicende storiche passate davanti alle quali oggi ci meravigliamo della mancata testimonianza dei cristiani del tempo nell’opporsi alla guerra.

È facile per noi parlare di “inutile strage” con riferimento al primo conflitto mondiale ripetendo quella definizione di Benedetto XV contenuta nell’appello rivolto, invano, ai capi delle nazioni invocando di fermare il mattatoio in corso di un popolo che comunque, secondo la stessa Chiesa, era tenuto ad obbedire agli ordini della legittima autorità senza riconoscere ai singoli di esercitare una ragionata obiezione di coscienza in linea con la novità evangelica della comunità cristiana dei primi secoli.

Ad essere neutralisti erano i cattolici tradizionali, accusati di essere austriacanti contro le potenze massoniche francesi e inglesi, o il sindacalista delle Leghe bianche Guido Miglioli.

Al contrario, erano a favore dell’intervento armato gli esponenti della lega democratica cristiana nella convinzione di poter combattere il militarismo teutonico e l’arroganza di Vienna (l’ultimatum lanciato contro la Serbia era impossibile da rispettare e tale da legittimare una guerra di conquista destinata a restare locale).

Anche i socialisti erano spaccati, con l’ala rivoluzionaria guidata da Mussolini che passa dal non interventismo alla scelta di “fare la storia”: «Il grido è una parola che io non avrei mai pronunciato in tempi normali e che innalzo invece forte, a voce spiegata, senza infingimenti, con sicura fede, oggi: una parola paurosa e fascinatrice: guerra!».

La nascita del fascismo data da quel 1914 in cui il futuro duce si scaglia contro la vigliaccheria dei pacifisti a partire come al solito, dei cattolici: «Oggi – io lo grido forte – la propaganda antiguerresca è la propaganda della vigliaccheria. Ha fortuna perché vellica ed esaspera l’istinto della conservazione individuale. Ma per ciò stesso è una propaganda anti-rivoluzionaria. La facciano i preti temporalisti e i gesuiti che hanno un interesse materiale e spirituale alla conservazione dell’impero austriaco».

Come sappiamo, il giovane Primo Mazzolari era affascinato dall’inquietudine dei democratici cristiani Cacciaguerra, Donati e altri decisi interventisti fino ad auspicare la partenza per il fronte del fratello Giuseppe destinato poi a morire indossando la divisa.

Sorprende la posizione di Igino Giordani che, confuso tra la scelta personale di non sparare e la retorica bellica di molti preti, afferma che la materia insegnata nell’accademia militare che frequenta è la “scienza dell’imbecillità”. E questa definizione la compie quando erano già avvenuti i crimini di guerra contro il Belgio, nazione cattolica non belligerante, da parte delle truppe prussiane.

Così è a noi molto vicino ora, mentre si parla di uso di armi nucleari, la casistica che giustificò il lancio della bomba atomica contro Hiroshima e Nagasaki. Come scrive Winston Churchill nelle sue memorie, era quasi impossibile pensare di poter domare la resistenza dell’esercito giapponese ormai sconfitto, se non al prezzo di un milione di morti da parte alleata.

Ma con l’uso dell’atomica questo “quadro da incubo era svanito” perché “eravamo entrati di colpo in possesso di un mezzo provvidenziale per abbreviare il macello”.  La bomba doveva essere per gli stessi giapponesi come «un’arma quasi soprannaturale, una scusa per salvare il loro onore e liberarli dall’obbligo di farsi uccidere fino all’ultimo uomo».

Lo scenario estremo dove ci troviamo può legittimare simili ragionamenti pragmatici soprattutto in presenza di armi nucleari cosiddette tattiche, ideate per poter essere usate senza permettere la risposta del nemico.

Per questo motivo è significativo l’appello lanciato, a livello nazionale, da oltre 40 associazioni e movimenti cattolici per chiedere al governo di aderire o almeno discutere del trattato sulle abolizioni delle armi nucleari.

Basta alzare lo sguardo per renderci conto di trovarci sempre di più sul crinale apocalittico della storia per usare l’espressione di Giorgio La Pira.

Come fermare l’avanzare del rinoceronte grigio è il compito di chi obietta, nonostante tutto, all’inevitabilità degli eventi nella storia umana.

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