Rinnovabili? Tutto da rifare

L'Italia deve reinventare una green economy, "più locale". Meno incentivi, più risparmio energetico, con interventi strutturali sugli edifici pubblici e privati
energia solare

Risparmiare energia al posto di produrne di più. Anche se generata da fonti rinnovabili. È questo l'imperativo dell'Italia che sta continuando a crescere nella produzione energetica verde. Ma che a un certo punto dovrà fermarsi. A giudicare dai numeri, il nostro Paese negli ultimi anni si è messo sulla strada giusta, seguendo positivamente Stati come Danimarca e Austria dove le rinnovabili hanno sostituito del tutto le fonti fossili. Secondo il rapporto Comuni rinnovabili di Legambiente, nel Paese, in tutti gli 8.047 Comuni, vi è almeno un impianto. Tutti insieme garantiscono il 38 per cento del consumo complessivo. Il solare è la fonte più diffusa sul totale di 800mila impianti di tutte le dimensioni, da quelli domestici alle grandi strutture nate con il boom degli incentivi. Già, gli incentivi, tasto dolente di questo scenario in cui la progressione qualitativa (della tecnologia) e quantitativa (delle potenze installate e della produzione da fonti verdi) negli ultimi cinque anni è andata al di là di ogni previsione. Sarà anche per questo motivo che i Ministeri dello Sviluppo economico, dell'Ambiente con il Gse, il Gestore dei Servizi elettrici nazionale, sono in profonda difficoltà nel definire i nuovi sistemi di incentivazione per gli impianti che producono energia da fonti rinnovabili.

Più pulita dunque, ma anche più costosa, con i costi ribaltati sulle bollette degli utenti. Ciascuno di noi. E così, continuiamo a pagare ogni giorno, ogni mese, incentivi concessi per vent'anni ai campi fotovoltaici posati a terra (sottraendo ettari di terreni coltivabili) negli anni Novanta, non senza speculazione. Quasi come una bolla finanziaria, che man mano è stata arginata, come dimostrano anche i dati di crescita di nuovi impianti, più ridotti nell'ultimo biennio rispetto al 2011-2012. Lo Stato, proprio per far crescere le rinnovabili, aveva previsto di pagare cifre notevoli ai proprietari per ogni megawatt di energia rinnovabile immessa sulla rete. Fatto l'impianto, trovato il guadagno, con tassi di rendimento altissimi, con ottimi ritorni a seguito dell'investimento e con le banche molto disponibili a fare credito. Se è vero che le rinnovabili in Italia (e in Europa) non stanno in piedi senza essere assistite (vale anche per l'agricoltura ad esempio, che non potrebbe fare a meno delle risorse comunitarie), dal 2000 a oggi si è esagerato. Non poco. E le regole statali hanno giovato a grandi gruppi del settore che oggi vanno a investire altrove – compresi i Paesi più ricchi di petrolio – non trovando più "energie finanziarie" in Italia. 

La green economy nostrana è entrata in crisi? Difficile dirlo ma certamente deve reinventarsi, come l'economista Jeremy Rifkin, tra i massimi esperti del settore, sostiene da tempo. "L'Italia deve cambiare il proprio modello energetico – ha affermato recentemente l'economista e politologo americano – Non può restare nel XX secolo, ancora con carburanti fossili e con il nucleare perché così rimarrà un passo indietro". Il Paese ha sempre faticato a darsi una politica energetica e così avviene oggi. Fatichiamo a costruire rigassificatori, le reti sono vecchie e poco efficaci, le centrali a carbone sono ancora attive, sulle biomasse siamo indietro, nonostante importiamo il 75 per cento del legno che bruciamo. Siamo a un bivio. Continuare sulla strada dei nuovi impianti, aumentando gli incentivi e dunque i costi a carico degli utenti (anche se il prezzo dell'energia è sceso, così i consumi), oppure scegliere un percorso più virtuoso e intelligente. Smart, in una parola. Come le Smart grid che Enel sta presentando all'Expo di Milano, dove unire risparmio energetico domestico all'illuminazione pubblica fatta con moderni led, alle centraline in ogni Comune per ricaricare scooter e auto elettriche. Reti intelligenti.

Resta la possibilità di realizzare nuovi impianti, ma è in corso una revisione generale del sistema di incentivi pubblici, da ridurre senza frenare il mercato già spesso impantanato nella burocrazia. "Occorre aprire una seconda fase della rivoluzione energetica del Paese, che parte dal basso – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – L'obiettivo è il Green Act, importante atto atteso dal Governo e dal Parlamento, che potrebbe fare da volano per il rilancio degli interventi per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio e la diffusione delle rinnovabili". Perché, proprio nella riqualificazione – dai "cappotti" termici per palazzi ed edifici pubblici, alle porte e finestre più isolanti – sta la scommessa di poter creare nuovi posti di lavoro, mai pienamente riuscita con fotovoltaico ed eolico, vista l'incapacità di insediare filiere produttive locali. I numeri in ballo non hanno bisogno di commenti: 100mila posti di lavoro potenziali nelle rinnovabili e 500mila nell'efficienza energetica, risollevando l'intera edilizia, per il recupero degli immobili esistenti senza consumare suolo per costruirne nuovi. Settori intrecciati, decisivi per uscire dalla crisi, per i quali servono strategie e scelte lungimiranti. Senza perdere tempo tra i corridoi di palazzo. 

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