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Persona e famiglia > Migranti

Rinascere grazie all’amore di una famiglia ospitale

a cura di Candela Copparoni

- Fonte: Città Nuova

Dalla Nigeria all’Italia passando per la guerra in Libia. Andrew Ekuase è arrivato vicino Rimini dopo la traversata del Mediterraneo: l’accoglienza della comunità gli ha restituito la speranza. I ricordi però sono sempre vivi, e fanno ancora male

Andrew Ekuase (destra) e Giuseppe Malerba, assessore del comune di Verucchio alle Politiche sociali e immigrazione, e ideatore della Festa dell’amicizia fra i popoli per un mondo unito in provincia di Rimini.

Il mio viaggio è iniziato 10 anni fa. Sono partito dalla mia Nigeria insieme ad un mio amico. Nel mio Paese vivevo con mia moglie e i nostri 5 figli, ma non trovando lavoro non avevamo soldi per mangiare. Così, io e quest’altro ragazzo siamo andati in Niger per cercare di guadagnare qualcosa. Una volta lì, ho conosciuto un amico senegalese che, dopo 4 mesi, mi ha invitato ad accompagnarlo in Libia alla ricerca di una situazione lavorativa più conveniente, e mi ha detto di non preoccuparmi per i soldi.

Siamo partiti, ma una volta arrivati la realtà non era quella che mi aspettavo. Ci siamo ritrovati in mezzo ad una guerra, e per 5 giorni non ho mangiato niente, prendevo soltanto un bicchiere d’acqua al giorno. Mi spostavo, di nascosto, cercando il posto più sicuro dove rifugiarmi, e sono rimasto da solo.

Dopo qualche tempo, ho stabilito una nuova amicizia: questo ragazzo lavorava, e io lo aiutavo, ma non ricevevo nessuna rimunerazione economica. A un certo punto, dopo un anno da quando per me era iniziato l’inferno libico, questo mio amico mi ha proposto di partire per l’Italia. Lì per lì non volevo farlo, non conoscevo nemmeno questo Paese e avevo paura perché il mare è troppo grande, addirittura non l’avevo mai visto! E ci ho pensato tanto… Ma in Libia stavamo troppo male, e così mi ci sono deciso.

Io non avevo soldi, per cui secondo me, non so se questo ragazzo, ma qualcuno ha dovuto pagare per me… Il gruppo era enorme: 500 persone su un barcone in legno con la plastica sopra. Siamo stati 4 giorni in mare, un’esperienza troppo brutta. 120 tra di noi sono morti: non c’era né cibo né acqua, per cui morivano disidratati e sfamati; altri sono caduti in mare e sono affogati. Alla fine, siamo riusciti ad arrivare a Lampedusa, dove sono rimasto per due giorni.

Era passato oramai un anno e mezzo da quando avevo lasciato la mia casa e la mia famiglia in Nigeria. Delle 25 persone con cui mi ero recato in Libia ero l’unico sopravvissuto, gli altri avevano perso la vita in quella nazione. Una volta in Sicilia, un autobus ci ha portato in gruppo – non da solo, avevo ancora paura! – fino a Bologna, dove ho passato un mese in un centro di accoglienza.

Dopo 6 mesi dal mio arrivo in Europa ho conosciuto un amico: un ragazzo nigeriano proveniente dalla mia città che mi ha riconosciuto. Grazie a lui sono riuscito a chiamare mia moglie, di cui avevo perso il numero durante la traversata del Mediterraneo, e a comunicarle che ero vivo! Lei piangeva, tutti i nostri bimbi piangevano… e ho pianto anch’io. Onestamente non voglio ricordare quello che è stato, perché soffro.

Sono arrivato a Forlì, dove ho conosciuto i progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Grazie a questa realtà sono andato a scuola, cosa che in Nigeria non avevo potuto fare per mancanza di soldi, ho iniziato ad imparare la lingua italiana e ho finalmente trovato ospitalità a Villa Verucchio, da quella che per me è diventata un’altra famiglia.

Se nel mio Paese facevo il meccanico e lavoravo la terra, qua in Italia è da 5 anni che lavoro per un ristorante e curo l’orto. Sono cristiano, e in parrocchia ho trovato tanti amici, con i quali passiamo del tempo insieme giocando a calcio o lavorando in giardino.

Se adesso mi chiedete come mi trovo, vi dico che mi sento bene, sono qui e sono contento di vedere attorno a me una nuova famiglia. Loro mi rendono felice e mi aiutano a non pensare tanto. Il dolore però in relazione alla mancanza dei miei affetti rimane: i miei genitori sono morti, e anche uno dei miei 4 fratelli è venuto a mancare due anni fa. Mia moglie e i nostri bambini li ho rivisti nel 2021 e di nuovo a febbraio 2023, ma purtroppo non è facile tornare spesso a casa: il mio Paese è troppo distante, ci vogliono due giorni da quando si arriva in Nigeria per raggiungerlo.

È duro per un padre stare lontano dai figli… e poi, come figlio, che tipo di ragazzo sei? Non ti senti bene. Speriamo, se l’Italia vorrà, che un giorno anche loro si trasferiscano in questa nazione e possiamo vivere fisicamente uniti come prima, nella gioia di essere diventati una famiglia allargata e multietnica grazie a chi, a Villa Verucchio, mi ha già aperto braccia e cuore.

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