Rimetti a noi i nostri debiti

Tutta la preghiera del Padre nostro ha poi la prospettiva del “noi”, della fraternità: chiedo non solo per me, ma anche per e con gli altri. La mia capacità di perdono è sostenuta dall’amore degli altri e, d’altro canto, il mio amore può in qualche modo sentire proprio l’errore del fratello: forse dipende anche da me, forse non ho fatto tutta la mia parte perché si sentisse accolto, compreso
(AP Photo/Michael Probst)

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12).

La parola di vita di questo mese è tratta dalla preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre Nostro. È una preghiera profondamente radicata nella tradizione ebraica. Anche gli ebrei chiamavano e chiamano Dio “Padre nostro”.

Ad una prima lettura, le parole di questa frase ci inchiodano: possiamo chiedere a Dio di cancellare i nostri debiti, come suggerisce il testo greco, nello stesso modo con cui noi stessi siamo capaci di farlo con chi ha una mancanza verso di noi? La nostra capacità di perdono è sempre limitata, superficiale, condizionata.

Se Dio ci trattasse secondo la nostra misura, sarebbe una vera e propria condanna!

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Sono invece parole importanti che esprimono prima di tutto la consapevolezza di essere bisognosi del perdono di Dio. Gesù stesso le ha consegnate ai discepoli, e dunque a tutti i battezzati, perché con esse possano rivolgersi al Padre con semplicità di cuore.

Tutto nasce dal nostro scoprirci figli nel Figlio, fratelli e imitatori di Gesù che per primo ha fatto della sua vita un cammino di adesione sempre più totale alla volontà amorosa del Padre.

È solo dopo aver accolto il dono di Dio, il suo amore senza misura, che possiamo chiedere tutto al Padre, anche di farci essere sempre più simili a Lui, persino nella capacità di perdonare i fratelli e le sorelle con cuore generoso, giorno dopo giorno.

Ogni atto di perdono è una scelta libera e consapevole, che va sempre rinnovata con umiltà. Non è mai un’abitudine, ma un percorso impegnativo, per il quale Gesù ci fa pregare quotidianamente, come per il pane.

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Quante volte le persone con cui viviamo: in famiglia, nel quartiere, sul posto di lavoro o di studio, possono averci fatto un torto e ci è difficile riprendere un rapporto positivo. Che fare? È qui che possiamo chiedere la grazia di imitare il Padre:

«[…] Alziamoci al mattino con una “amnistia” completa nel cuore, con quell’amore che tutto copre, che sa accogliere l’altro così com’è, con i suoi limiti, le sue difficoltà, proprio come farebbe una madre con il proprio figlio che sbaglia: lo scusa sempre, lo perdona sempre, spera sempre in lui… Avviciniamo ognuno vedendolo con occhi nuovi, come se non fosse mai incorso in quei difetti. Ricominciamo ogni volta, sapendo che Dio non solo perdona, ma dimentica: è questa la misura che richiede anche a noi» (1).

È una meta alta, verso cui possiamo camminare con l’aiuto della preghiera fiduciosa.

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Tutta la preghiera del Padre nostro ha poi la prospettiva del “noi”, della fraternità: chiedo non solo per me, ma anche per e con gli altri. La mia capacità di perdono è sostenuta dall’amore degli altri e, d’altro canto, il mio amore può in qualche modo sentire proprio l’errore del fratello: forse dipende anche da me, forse non ho fatto tutta la mia parte perché si sentisse accolto, compreso …

A Palermo, una città italiana, le comunità cristiane vivono un’intensa esperienza di dialogo, che richiede di superare alcune difficoltà. Biagio e Zina raccontano: «Un giorno un pastore amico ci ha invitati presso alcune famiglie della sua Chiesa, che non ci conoscevano. Noi avevamo portato qualcosa da condividere per il pranzo, ma quelle famiglie ci hanno fatto capire che questo incontro non era molto gradito. Con dolcezza, Zina ha fatto assaggiare loro alcune particolarità che aveva cucinato e alla fine abbiamo pranzato insieme. Dopo il pranzo, hanno cominciato a evidenziare i difetti che vedevano nella nostra Chiesa. Non volendo entrare in una guerra verbale, abbiamo detto: quale difetto o differenza fra le nostre Chiese può impedirci di volerci bene? Abituati a continue diatribe, sono rimasti meravigliati e disarmati da una risposta così ed abbiamo cominciato a parlare del Vangelo e di ciò che ci unisce, che è sicuramente molto di più di ciò che ci divide. Venuto il tempo di salutarci, non volevano più che andassimo via; a quel punto abbiamo proposto di pregare il Padre Nostro, durante il quale abbiamo avvertito forte la presenza di Dio. Ci hanno fatto promettere che saremmo ritornati perché intendevano farci conoscere tutto il resto della comunità e così è stato in tutti questi anni».

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