Rilancio. La novità è “fare sistema”

Lui riesce ancora a difendersi, in questo momento critico per l’economia, mentre altre aziende sono in difficoltà, alcune vicine al collasso. Vincenzo Scarpa fornisce dalla sua Trani, splendida città della Puglia, materie prime in pelle sintetica a 130 calzaturifici per donna. Quattordici dipendenti, 6,5 milioni di fatturato. Eravamo una piccola isola felice – racconta -, perché eravamo riusciti ad abbinare un prezzo competitivo alla capacità di produrre con consegne rapide. Con l’arrivo dei prodotti dall’Estremo Oriente, noi che lavoriamo nella fascia di qualità mediobassa siamo i più colpiti: i prezzi delle materie importate sono la metà dei nostri. La concorrenza internazionale ha effetti negativi particolarmente marcati al Sud ed il rischio è che in questo frangente venga di nuovo lasciato a sé stesso. Vincenzo Scarpa ha perciò apprezzato il primo intervento da presidente di Confindustria di Luca di Montezemolo. Un imbarazzante silenzio caratterizza il dibattito sulla questione meridionale. Quasi che non parlandone il problema si risolva da solo, ha affermato il nuovo leader degli imprenditori. Un rimprovero al governo, ma anche all’inconcludente opposizione. Il Mezzogiorno ha un drammatico bisogno di tre cose: infrastrutture, recupero dei centri urbani e una pubblica amministrazione efficiente. Alcuni costi eccessivi – concorda Scarpa – derivano proprio da tante disfunzioni. Ma non limitiamoci a queste. Sono necessari anche tempi certi per la realizzazione di determinate infrastrutture. Se i tempi si allungano, come succede, le possibilità di mercato scompaiono. Ho apprezzato Montezemolo, un presidente del Nord – commenta Benedetto Gui, docente di economia politica all’università di Padova – perché nel suo primo discorso non si è dimenticato del Sud, dove permane la maggiore domanda di sviluppo, ma restano ancora grandi potenzialità inespresse. Innovare, innovare, innovare è la seconda indicazione del programma confindustriale di Montezemolo. Il problema deriva proprio dalla scarsa propensione alla ricerca dimostrata sinora dall’Azienda Italia. E dire che non c’è da oziare. Il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, nelle sue Considerazioni finali sulla situazione del paese, ha fatto presente che la crescita nel 2004 raggiungerà l’1 per cento, al di sotto di quella potenziale, mentre la produzione industriale è in flessione e continua la perdita di competitività dei nostri prodotti sui mercati internazionali. Se a questo si aggiunge, come Fazio ha documenta- to, lo squilibrio dei conti pubblici, l’alto debito e la riduzione delle spese per infrastrutture, non è difficile capire come il paese sia a rischio declino, anche se il termine non è stato intenzionalmente pronunciato. La sfida dell’innovazione – illustra Gui – non si limita ad ottenere prodotti sempre più attraenti e funzionali. Un genere di innovazione di cui l’economia di oggi ha urgente bisogno è quella rivolta a ridurre il consumo di energia e di risorse non rinnovabili, che nel giro di pochi anni rappresenteranno il vero collo di bottiglia dello sviluppo, sia nostro, che dei paesi emergenti. Grande prospettiva, questa, ma poco presente nel dibattito attuale, tutto incentrato sulla competitività e sul rilancio dei consumi. Una maggiore spesa delle famiglie – spiega Gui – sarebbe certo una boccata d’ossigeno per le nostre imprese. Ma il sistema italiano produce in gran parte beni molto esposti alla concorrenza dei paesi che lavorano a costi molto più bassi dei nostri. C’è quindi il rischio che una parte troppo grande di questa domanda si diriga in realtà verso produzioni estere. Innovare, dunque, anche se resta un’operazione difficile. Difficilissima , ammette Emanuele Zanetta, amministratore delegato della Rubinetterie Webert, azienda novarese leader nel settore, con 80 dipendenti e una produzione esportata per l’85 per cento. Ci vuole infatti molto coraggio a destinare 300-500 mila euro ogni anno alla ricerca, soprattutto in questi ultimi quattro anni. E racconta: Anch’io mi sono trovato a rimandare la sostituzione di un macchinario o la progettazione di un nuovo prodotto. La recessione vera è quando manca la fiducia nel sistema, non solo quando i numeri sono negativi . Poi, dallo scorso anno, è tornato a scommettere e oggi avverte segnali positivi. Il coraggio di innovare è penalizzato non solo dalla tassa (Irap) sulla ricerca, contestata da tutti gli imprenditori, ma anche da altri costi eccessivi rispetto alla concorrenza. Nel nostro bilancio aziendale – esemplifica Zanetta – l’energia elettrica pesa per 100 mila euro. Questo significa che spendo 20 mila euro in più rispetto ai concorrenti europei. Una somma che potrei destinare alla ricerca. Inevitabilmente si guarda ad Est, dove la manodopera costa, ad esempio in Romania, un decimo rispetto all’Italia. La Webert ha ipotizzato il trasferimento di una particolare lavorazione dove sono impegnate dodici persone. È solo un’idea, ma abbatterebbe i costi del 50 per cento, con un risparmio annuo in quella fase produttiva di 200 mila euro. Non sono bruscolini. Resto in Italia sino a che il conto economico dell’azienda lo consente. Poi vedremo. Ogni imprenditore ha il piacere di fare impresa sul proprio territorio per vederlo sviluppare con la ricchezza distribuita e l’occupazione creata a beneficio della comunità circostante. La Cina incombe su tutti, senza distinzioni tra Nord e Sud. Non sono per il protezionismo, sia chiaro – premette Vincenzo Scarpa – ma servono certe regole comuni e il loro rispetto. Un fenomeno devastante è la contraffazione. Arrivano scarpe dalla Cina: benvenute. Ma non è corretto metterci su il marchio Made in Italy e circuire la clientela. Chi acquista deve sapere che compra un prodotto fabbricato in Cina. In altri ambiti sappiamo che viene fedelmente copiato ogni parte degli articoli italiani, compresi imballaggi e marchi, con danni ingenti e perdite rilevanti di quote di mercato. Nel mio settore, al momento, non è ancora così – riferisce Zanetta -: copiano, ma la diversa qualità si vede e la clientela se ne accorge. L’operazione più subdola riguarda i nuovi mercati. Racconta perciò che se l’azienda decide di aprirsi all’Est europeo, mettiamo Mosca, si fanno i calcoli, si progetta, si scelgono le fiere a cui partecipare, si definisce il campionario. Ma cosa succede? Che alla prima fiera nella capitale russa trovi già i tuoi prodotti, copiati da un cinese che li ha piazzati da tempo. La lotta contro la contraffazione e il furto dei brevetti va condotta con l’uso di tutti gli strumenti, compreso il controllo delle nostre dogane che devono crescere in efficienza. È la richiesta dei produttori, consapevoli però che imputare tutte le difficoltà all’Estremo Oriente è un modo per non vedere problemi e omissioni. La Cina è una grande occasione, non una minaccia, ha precisato Montezemolo, suonando la sveglia ad una dirigenza più incline al lamento che a nuove idee. L’invito è a portare il marchio Italia nel mondo, non solo qualche prodotto. Facendo al riguardo intelligente tesoro della nostra storia, della nostra cultura, della creatività e del buon gusto italiani, che in certi ambiti si sono affermati nel mondo. Ma come riuscirci? Se Ciampi, nell’appello del 1° maggio, aveva invitato a dare una scossa al paese e a rimettere in circuito la fiducia, il leader degli industriali, prima, e il governatore, poco dopo, hanno sottolineato la necessità di lavorare tutti assieme, di creare uno spirito di squadra, di fare sistema e riprendere con nuovo entusiasmo e fiducia reciproca il dialogo tra le parti sociali (Montezemolo), perché un rinnovato rapporto di collaborazione tra le parti sociali può tornare a guardare allo sviluppo (Fazio). Insomma, una mazzata alla presunta efficienza del liberismo e al dogma del mercato. A queste parole ha fatto eco un vasto plauso, dalla Confcommercio (È l’avvio di una fase nuova) ai giovani artigiani (Sono tre anni che sosteniamo questa linea). Penso che una collaborazione attenta agli interessi di tutti sia necessaria – dichiara l’economista Gui – soprattutto se non si tratta di fare piccolo cabotaggio, ma di elaborare una strategia di ampio respiro e mettere a punto cambiamenti significativi del nostro sistema economico. Vincenzo Scarpa ne vede i benefici ad ogni livello: Nel mio settore, un rinnovato spirito di collaborazione ci farebbe crescere anche culturalmente come imprenditori, perché saremmo spinti ad uscire dal proprio orticello. Più che dichiarazioni d’intenti, gli autorevoli inviti suonano per Zanetta come un appello ultimativo. Se continuiamo così – avverte – salta l’economia e lo stato sociale, diventiamo il fanalino di coda tra i paesi ad economie avanzate e rischiamo di uscire dal G8. Il dialogo è l’unica strada, ma è indispensabile un progetto di sviluppo Italia attorno a cui lavorare. E qui cade l’asino. Tanto da Novara, quanto da Trani, la conclusione è identica: il grande ostacolo è dato dalla rissosità del dibattito politico che distoglie dalla ricerca del bene comune in un clima di collaborazione. Ma sia Zanetta che Scarpa concordano sulla grande opportunità che si presenta e su un’aria nuova che si respira. Serve perciò un cambio di rotta prima di tutto a livello nazionale tra istituzioni pubbliche, associazioni di categoria, sindacati. Perché solo allora tutti prenderanno fiducia. I prossimi mesi saranno determinanti. In compagnia di Francia e Germania Stagnazione è il termine tecnico che fotografa l’attuale vicenda economica ed è quanto mai evocativo. Significa che la produzione industriale dei primi mesi del 2004 è ferma sugli stessi livelli dell’autunno del 2001. Su base annua, la produzione italiana è tornata ai livelli di sei anni fa. Se può consolare, siamo in buona compagnia. La ricchezza prodotta lo scorso anno dalla Francia è aumentata dello 0,4 per cento, quella tedesca si è contratta dello 0,1 per cento. L’Italia è cresciuta di un modesto 0,3. Ma è altrettanto vero che lo sviluppo di altri paesi ha registrato ritmi più sostenuti: Regno Unito (2,3), Spagna (2,4), Giappone (2,7), Stati Uniti (3,1). La Cina, con un + 8 per cento, è un caso a sé. Il nostro paese deteneva, all’inizio degli anni Novanta, il 5 per cento del commercio mondiale. Oggi siamo scesi al 4. Pesa il fatto che l’Italia è diventata meno competitiva come tipo di prodotto, come mercati di sbocco, come sistemi di distribuzione, come finanza e come costi di produzione. . BIANCA ITALIA Se l’Italia cresce poco rispetto ad altre economie è anche perché è un paese sempre più vecchio, in un continente dai capelli bianchi. Il tasso di accrescimento della popolazione europea oscilla intorno all’1 per mille, mentre gli Stati Uniti corrono con un 5,4 per mille. In Europa l’incremento della popolazione è dovuto pressoché esclusivamente all’immigrazione. I dati confermano l’assunto che l’aumento della popolazione stimola la domanda per consumi e fornisce nuove forze di lavoro. La questione demografica acquista perciò sempre più peso nelle vicende economiche. In fatto di risparmio, gli italiani, delusi dall’andamento dei mercati finanziari e traditi nella fiducia per gli scandali societari (Parmalat e Cirio in testa), sono tornati ad investire sul mattone. Infatti, il risparmio delle famiglie in obbligazioni, azioni e depositi è sceso dagli 87 miliardi di euro del 2002 ai 73 dello scorso anno.

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