L’Agenzia delle Nazioni Unite che dal 1950 tutela il diritto e il benessere dei rifugiati in tutto il mondo (Unhcr-Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati) definisce quella afghana “una crisi senza fine”. Dopo quasi 4 decenni di conflitti, l’Afghanistan continua ad essere una delle emergenze umanitarie più gravi al mondo. A povertà, diritti umani calpestati, disastri naturali ricorrenti e devastanti si aggiungono gli enormi problemi del rimpatrio di milioni di profughi.
L’esodo aveva conosciuto due ondate principali: la più ampia a partire dal 1979 ai tempi dell’invasione sovietica, la seconda con il nuovo avvento dei Talebani nel 2021. Secondo il rapporto 2023 dell’Unhcr, circa 6,4 milioni di afgani vivono all’estero e costituiscono una delle più grandi popolazioni di rifugiati al mondo (insieme a siriani, ucraini e venezuelani). Senza contare gli oltre 4,1 milioni di sfollati interni. La prima meta dei fuggitivi sono stati i Paesi confinanti, terre di transito verso la tristemente famosa rotta balcanica che negli anni è stata percorsa da migliaia di profughi.
Ma dal 2023 Iran e Pakistan hanno cominciato a rispedirli indietro. Il governo di Islamabad ha lanciato un “Piano di rimpatrio degli stranieri” e già più di un milione di persone sono tornate in Afghanistan lasciando i campi profughi del Pakistan.
Non si conosce il numero esatto di afghani presenti in Iran: l’Unhcr e il governo iraniano suggeriscono che siano fra 3 e 5 milioni, di cui circa 780 mila rifugiati registrati e il resto privi di documenti o al massimo forniti di permessi di soggiorno temporanei. Gli afghani sono anche la nazionalità più rappresentata nelle carceri iraniane (il 95% dei detenuti stranieri) dove vengono trattenuti con le accuse di traffico di droga, furto e attraversamento illegale del confine. Secondo Iran Human Rights (iranhr.net), nel 2024 è stata eseguita la condanna a morte di 80 afghani e di almeno altri 25 nei primi mesi di quest’anno. Il Parlamento iraniano sta imponendo una riduzione della “popolazione straniera” del 10% l’anno ed è stata completata la costruzione dei primi 10 chilometri di un muro di cemento che andrà a sigillare la parte nord-orientale del confine tra Iran e Afghanistan, quella più utilizzata dai migranti afghani.
Ma la narrazione delle autorità iraniane sui profughi presenta un quadro ben diverso rispetto alla realtà: il quotidiano Teheran Times parla di un’attiva collaborazione con il governo di Kabul per «sostenere i cittadini afghani desiderosi di tornare nella madre patria volontariamente e dignitosamente». E dichiara che dal 21 marzo al 27 giugno 2025 siano stati 717.658 gli afghani che sono tornati in patria, più dell’80% di propria volontà. Teheran «assicura così a chi resta la possibilità di usufruire di maggiori servizi e benefici».
Il quotidiano The Kabul Times replica da parte sua che molti rifugiati afghani in Iran – sia legali che clandestini – incontrano notevoli difficoltà nell’accedere ai propri conti bancari, nel trasferire rimesse, nel recuperare beni e nel gestire le loro proprietà. Sono cioè privati dei loro diritti fondamentali sui beni personali.
Il fatto è che in Afghanistan i rifugiati non ci vorrebbero tornare. Chi torna deve ripartire da zero: non ha casa, documenti, legami e il Paese è chiaramente impreparato ad accoglierli, vivendo in una situazione già fragile e precaria.
C’è poi chi tenta ancora la via dell’Occidente. Pochi giorni or sono (Avvenire del 26 luglio) 81 afghani sono approdati anche in Italia, a Leuca in Puglia, dopo un lungo viaggio, l’ultimo tratto in barca a vela da Bodrun, in Turchia: 16 di loro hanno meno di 10 anni. Occorre conoscere e far conoscere le loro vicende, anche per non togliere loro quello che la Corte Europea dei Diritti Umani definisce come “diritto alla speranza”.