Riforma dell’Onu: dialogo con Sandro Calvani (seconda parte)

Le Nazioni Unite da riformare per operare più efficacemente a favore della pace. Il ruolo dell’Europa. Seconda parte dell’intervista a Sandro Calvani, presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Giuseppe Toniolo di diritto internazionale della pace
Onu. Il segretario generale Antonio Guterres parla all'Assemblea generale (AP Photo/Mary Altaffer, File)

È chiaro a tutti che solo un forte mandato condiviso all’Onu sarebbe in grado di imporre un cessate il fuoco e aprire un negoziato di pace nel conflitto in corso in Ucraina. Sulla necessità e la reale possibilità di una riforma delle Nazioni Unite abbiamo sentito il parere di Sandro Calvani, presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Giuseppe Toniolo di diritto internazionale della pace. Dopo una prima parte già pubblicata concentrata sui contenuti delle proposte di riforma in discussione nel contesto internazionale, continuiamo l’intervista con altre domande che allargano il discorso.

Che tipo di consenso esiste di fatto sul complesso di riforme dell’Onu esposte nella prima parte di questa intervista?
Tra le diverse proposte è particolarmente significativo il consenso di 27 democrazie europee assieme al Regno Unito attorno alla proposte di riforma dell’ONU articolate e concordate dal Parlamento Europeo nel 2019.

In seno al negoziato intergovernativo per la riforma, l’Italia esercita il ruolo di “Focal Point” del gruppo Uniting for Consesus (UfC). UfC è un gruppo significativo di Paesi, geograficamente trasversale, accomunati da alcuni convincimenti comuni, ed è anche uno dei gruppi di consultazione più grandi.

Quale rapporto esiste tra ONU e NATO?
Si tratta di due organizzazioni molto diverse. L’ONU accoglie al proprio interno tutti i governi del mondo, compresi quelli manifestamente non democratici, come per esempio Corea del Nord, Siria e Eritrea. Essa riconosce e ribadisce la Dichiarazione universale dei diritti umani e l’uguaglianza di diritti di ogni essere umano, coordina gli sforzi di sviluppo sostenibile e risposta al cambio climatico nel mondo intero, ma non esclude la partecipazione dei paesi membri che non rispettano quei diritti. La NATO è invece un trattato di difesa militare con 30 Paesi membri, tutti Paesi democratici, con mandati limitati alla sicurezza.

Nella seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione (che nella prima parte esprime il ripudio della guerra) è scritto che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Tale dichiarazione si riferisce, a suo parere, solo ad organizzazioni globali tipo ONU oppure la limitazione della sovranità vale anche nei confronti della NATO?
La limitazione di sovranità nazionale espressa dall’articolo 11 della Costituzione si riferisce a tutti i trattati internazionali che l’Italia ha firmato e che il parlamento ha ratificato. Per il diritto internazionale “pacta sunt servanda”, i patti vanno mantenuti, altrimenti si andrebbe verso un’anarchia del sistema di relazioni internazionali in cui ogni governo nazionale potrebbe affermare prima i suoi interessi nazionali anche a danno degli altri Paesi, nonostante le promesse fatte al momento della firma dei trattati.

È esistito, come si dice con riferimento alla prima Repubblica nella storia recente una declinazione dell’europeismo ben distinto dalla NATO?
Certamente le priorità dell’Unione Europea non sono sempre identiche a quelle della NATO, prima di tutto per la diversa natura delle due realtà sovranazionali e, se non altro, perché nella NATO sono presenti anche 4 grandi nazioni (Canada, Regno Unito, Stati Uniti e Turchia) e altri Paesi che non sono membri dell’Unione Europea. All’interno dell’Unione Europea le elezioni democratiche del Parlamento Europeo e dei 27 parlamenti nazionali contribuiscono a una importante variabilità dei temi politici ed economici all’ordine del giorno. Per esempio, una minoranza di Paesi e partiti cosiddetti “patrioti” vorrebbero un’integrazione leggera o minima tra i 27 paesi dell’Unione per preservare e rafforzare quei nazionalismi del passato che i trattati di integrazione europea vorrebbero superare. Nel gennaio 2020, il Regno Unito ha lasciato l’Unione Europea con simili prospettive di rifiuto dell’integrazione europea.

In questo periodo drammatico è stata evocata la visione lungimirante di Aldo Moro sull’Europa. Che tipo di incidenza ha avuto a suo tempo?
La speranza di Aldo Moro di una sincera collaborazione nel mutuo rispetto tra l’Europa occidentale e il resto dell’Europa si era avviata attraverso l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) cui hanno aderito 57 paesi, comprese la Russia e l’Ucraina e il Consiglio d’Europa con 47 paesi membri. In parte le speranze di Aldo Moro sono divenute realtà con l’apertura a Est dell’Unione Europea, per quei Paesi che lo hanno chiesto, come i Paesi baltici e alcuni Paesi dei Balcani. Dopo l’invasione dell’Ucraina la Russia è stata sospesa dal Consiglio d’Europa.

La cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa e della sicurezza europea (PESCO) e l’Agenzia Europea per la Difesa stanno facilitando una maggior collaborazione tra gli stati membri dell’Unione Europea in campo militare, giudiziario e di polizia.

Qui la prima parte dell’intervista

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons