Rifondare la politica

Cattolici, partiti, democrazia. Intervista a Lucia Fronza Crepaz sull’eredità della Settimana sociale di Reggio Calabria.
Lucia Fronza

Dovrà avere spalle robuste questo 2011. Oltre alle difficoltà perduranti e profonde in ambito economico e occupazionale, il nuovo anno dovrà vedersela anche con le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia.

Oddio, in fatto di liturgie istituzionali siamo dei maestri, e quindi non ci sarebbero motivi di preoccupazione: le manifestazioni riusciranno benissimo. Ma gli italiani – sempre refrattari alla retorica patriottica – non si accontenteranno, ora meno che mai, di riandare ad un secolo e mezzo fa. Per quante controversie storiche siano ancora aperte, interessa alla gente capire se l’anniversario costituirà un’opportunità per rinsaldare l’unità dell’Italia, sempre più percorsa da tendenze divaricatrici tra le varie aree geografiche.

A noi sembra, pertanto, che non debbano andare perdute le conclusioni della Settimana sociale dei cattolici, svoltasi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso. 1.200 delegati, di cui 300 giovani, provenienti da tutti i territori hanno costituito una delle rarissime (ahinoi!) assemblee di articolata riflessione che ormai si tengono nella nostra Penisola.

“Completare la transizione” era il titolo riservato all’ambito della politica ed evocava le riforme istituzionali. Lucia Fronza Crepaz è stata la coordinatrice del gruppo con oltre 150 partecipanti.

 

In un momento di accentuato disorientamento dei partiti e delle istituzioni, cosa può risultare utile alla politica di quanto maturato a Reggio Calabria?

«La questione democratica. I partecipanti sono andati senza indugio al cuore dei problemi della politica italiana. Ed hanno sorpreso anche noi che avevamo messo a punto lo svolgimento dell’ambito della politica. Non ci eravamo resi conto di quanto fosse forte la richiesta di affrontare la questione democratica, tanto all’interno dei partiti, quanto in Parlamento».

 

I soliti cattolici fuori dai partiti che criticano i partiti?

«Ma no! Era l’opposto. Primo: molti erano impegnati dentro i partiti e, pur nella varietà di scelte, esprimevano esigenze maturate in un’esperienza diretta e personale di militanza. Secondo: un buon numero di quelli che hanno parlato era stato eletto nelle amministrazioni locali. Terzo: tutti i partecipanti hanno sottolineato la necessità dei partiti. Quarto: che c’è però bisogno di partiti completamente diversi, perché sono tutti dotati di potenti respingenti verso chi vi si affaccia con un po’ di idealità».

 

Partiti diversi. Ma come?

«Facendone delle associazioni di diritto pubblico in modo da rendere più attuale l’interpretazione dell’art. 49 della Costituzione – “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti…” –. Esigere ad esempio, la compilazione di un bilancio pubblico e trasparente delle entrate e degli impieghi, che è questione prioritaria rispetto al fatto di dare o meno i soldi pubblici ai partiti e regole certe per la vita democratica interna alla struttura».

 

Quale questione democratica è emersa in relazione al Parlamento?

«Quella relativa alla riforma della legge elettorale per consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti, potendo scrivere nome e cognome. È stata una richiesta condivisa all’unanimità dall’assemblea, pur nella varietà delle appartenenze politiche, delle provenienze regionali, dell’età. Non credono alle parole di disponibilità al cambiamento da parte dei segretari dei partiti».

 

Come si dovrebbe caratterizzare la nuova legge elettorale?

«Non si è parlato volutamente di sistemi, forse perché l’assemblea si sarebbe divisa sulla questione del maggioritario o del proporzionale, ma anche perché rimandavano la decisione ad un luogo specifico, il Parlamento. Le due opzioni emerse sono state la preferenza o il collegio più piccolo, con il maggioritario nel collegio, in modo da garantire al cittadino elettore la possibilità di scegliere il proprio candidato».

 

Se a breve andiamo alle elezioni, resteranno auspici senza costrutto.

«Mi piacerebbe proprio che il documento dei vescovi che riassumerà le conclusioni della Settimana sociale uscisse presto. Se si terranno le elezioni politiche, costituirebbe un ottimo contributo per anticipare temi e arricchire la campagna elettorale. Un’auspicata tempestività inoltre eviterebbe i documenti “postumi”, perché noi siamo un po’ quelli degli appelli finali a pochi giorni dal voto. Se invece la legislatura proseguirà, il testo potrebbe indicare priorità all’agenda politica del 2011».

 

Unità d’Italia e federalismo fiscale. La partita si gioca su questo fronte. Cosa è emerso tra i delegati delle diocesi del Nord e del Sud?

«Sono emerse esigenze diverse rispetto al federalismo nel suo complesso, ma è stato accettato come processo già in atto nel Paese. Il dialogo ha favorito una progressiva convergenza e una reciproca comprensione tra i delegati. Da una parte il Nord, che chiede il riconoscimento di una sussidiarietà che già c’è ed è vivacissima. Dall’altra il Sud, che attende maggiore solidarietà non avendo ancora in tante aree una società pronta nella sua totalità a vivere una sussidiarietà completa».

 

Non avverte l’eco di un localismo di stampo cattolico?

«Quanti sono intervenuti avevano ben presenti le esigenze del proprio territorio, ma guardavano insieme all’unità del Paese. L’unità d’Italia è riconosciuta come una ricchezza da custodire, sviluppare e attualizzare. Si avvertiva pure con chiarezza che la Costituzione, ad esempio, rappresenta per tutti non solo il complesso di norme fondative del nostro Stato, ma anche il riferimento più importante dal punto di vista dei valori cui richiamarsi per dare continuità alla storia di questo Paese».

 

Ma in che modo, in questo 2011?

«È maturata la proposta di proseguire l’approfondimento corale tra Nord e Sud sul federalismo in modo da poter “mordere” dentro i contenuti dei decreti attuativi ancora da definire, suggerendo indicazioni serie e valide per declinare assieme unità e territorializzazione».

 

Consapevoli che i partiti non riusciranno a tenere conto delle due istanze in modo equilibrato?

«L’assemblea dei delegati aveva chiaro che dal Palazzo, in questo periodo, può venire fuori poco. E dire che i parlamentari di vari partiti erano lì presenti, sono intervenuti come gli altri (tre minuti a testa) e denunciavano lo stesso disagio di chi stava fuori. Non c’è stata contrapposizione, ma Il Palazzo era visto come il complesso delle istituzioni che va riformato profondamente da parte della società. Una società che vuole passare dalla democrazia della delega in bianco all’eletto ad una democrazia comunitaria, sostanziale, in cui la società è capace di progettare il proprio futuro in collaborazione con la politica. In questo orizzonte, la città è il laboratorio in cui sperimentare una pluralità di reti tra cittadini, associazioni e istituzioni per nuove soluzioni».

 

Da dove incominciare domani?

«Dai giovani. Quelli presenti a Reggio Calabria erano anche impegnati in politica, vivi, capaci. Si sono schierati in modo chiaro contro “lo stare fermi per paura”, ancora di più contro “il ritiro dalla politica”. E non hanno avuto timore di dire che l’impegno politico per i cattolici è direttamente collegato con le scelte della fede. Confermavano che l’esperienza politica non può essere vissuta in solitudine ma va radicata nell’esperienza di un cammino comunitario per trovare sicurezze, sviluppare collaborazioni, nutrire di spiritualità e di cultura le proprie idealità».

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