Ridi, Pagliaccio!

Le celebre opera di Leoncavallo al Teatro Costanzi di Roma nell’allestimento storico di Zeffirelli
Pagliacci
Un momento corale dell'opera "Pagliacci", di R. Leoncavallo, rappresentata al teatro Costanzi di Roma nell'allestimento di Franco Zeffirelli (Foto di Fabrizio Sansoni-Teatro dell'Opera di Roma)

I guitti ridono e fanno ridere, ma dentro piangono. Così è per Rigoletto, ecosì per Canio, in arte Pagliaccio, capocomico di un gruppo teatrale in giro per i paesi della Calabria di fine ‘800. Canio è sposato con Nedda che «ha raccolto orfanella sulla via» ma lei di questo marito-padrone è stanca, sogna l’amore vero e lo ha di nascosto con Silvio. Il perfido gobbo Tonio da lei respinto svela tutto a Canio e l’epilogo è chiaro: lei viene uccisa in scena: arte e vita coincidono, il contrario di quanto si afferma nel Prologo, fuoriscena come preludio dei due atti.

Storia vera, questa, che ispirò il musicista napoletano e diventò il successo di una vita dalla sua prima apparizione milanese nel 1892 diretta da Toscanini. Da allora l’opera viaggia per il mondo. Realismo musicale anche truce come in Cavalleria di Mascagni, passioni violente come in Tosca, attinte dalla storia o dalla cronaca nera.

Pagliacci
Il perfido Tonio (Roman Burdenko), dall’opera “Pagliacci”, di R. Leoncavallo, rappresentata al teatro Costanzi di Roma nell’allestimento di Franco Zeffirelli (Foto di Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma)

Pagliacci deve molto a Cavalleria: cori paesani, preludio, duetti appassionati, finale sanguinolento, ma ha qualcosa di diverso e di più. Verdi, innanzitutto, se si pensa che la celebre frase «Ridi, Pagliaccio» deriva da un passaggio di Otello, ma anche il duetto sensuale degli amanti e la figura gobba e maligna di Tonio, gobbo fisicamente e moralmente, mentre Rigoletto almeno desidera la luce. In più, Leoncavallo distilla freschezza primaverile, umorismo, danze antiche e cenni wagneriani di musicista colto.

Nedda (Valeria Sepe), dall’opera “Pagliacci”, di R. Leoncavallo, rappresentata al teatro Costanzi di Roma nell’allestimento di Franco Zeffirelli (Foto di Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma)

Opera teatralmente popolare, eppure piena di enfasi drammatica, a Roma è stata diretta da Daniel Oren con minor visceralità del solito e maggior attenzione alle sfumature, dettando una interpretazione da parte del buon secondo cast sanguigna, comunicativa, “veristica”, amata dal pubblico.

Ma lo spettacolo è stato soprattutto la ripresa, per festeggiare il centenario della nascita, della regia e delle scene di Zeffirelli, un mago nella messinscena lirica. Un mondo palpitante di giocolieri, funamboli, ballerini, popolani, circensi, piccoli e grandi, ha invaso di continuo il palcoscenico. Ha creato un universo vivacissimo, lussureggiante, una risposta al dolore del dramma, come un inno alla vita e all’amore, nonostante tutto. Perfetto.

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