Ricorrenze che non si celebrano

Emozioni suscitate da un canto doloroso e struggente durante la messa in una chiesetta di un piccolo borgo del nord della Corsica: la Salve Regina, inno nazionale dell'isola
Corsica

Ci sono ricorrenze che si celebrano e ricorrenze che non si celebrano. Si celebrano gli eventi, quelli che hanno segnato la storia sociale-politico-artistica-religiosa-e-quant’altro-d’importante d’un popolo, d’un gruppo di persone. Anche nelle vite personali si celebrano eventi: compleanni, battesimi, matrimoni, si ricordano gli anniversari dei defunti. Si celebrano insomma gli eventi “esterni”. Quasi mai quelli “interni”, quelli che sono avvenuti nell’intimità dell’anima. Eppure, probabilmente sono i più importanti. Sono quelli che possono cambiare una vita. Sono illuminazioni, intuizioni, conclusioni di lunghe riflessioni, emozioni, traumi, gioie inaspettate, decisioni prese con se stessi, il tutto avvenuto nel silenzio sigillato della propria coscienza. Scriveva lo psicologo Carl Gustav Jung in una lettera del 1957 a un amico: «Solo ciò che si è verificato nel mio intimo si è dimostrato essenziale e determinante». In quest’ottica vorrei celebrare quello che è avvenuto 80 anni fa nell’anima di quella straordinaria e complessa donna che è stata Simone Weil. Nel 1935 lei si trovava in Portogallo e lì assistette a una festa popolare. Durante la quale fu colpita in modo fortissimo dagli struggenti canti popolari intonati da un coro di donne, mogli e vedove di poveri pescatori. Erano canti religiosi molto antichi, che trasudavano d’una sconfinata malinconia. Annoterà poi la Weil: «Ho avuto all’improvviso la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, e io con loro».

 

Quell’evento, del tutto interiore, segnò largamente la vita dell’originale pensatrice francese. Mi è venuto in mente quest’evento interiore della Weil, quando quest’anno ho partecipato a una messa in un piccolo borgo del nord della Corsica. La chiesetta era troppo piccola anche per ospitare le poche persone, quindi un po’ di sedie sistemate nella viuzza della frazione, un tavolo come altare. Poi, alla fine della messa un canto… Un canto che per mia ignoranza non conoscevo, ma che ho poi saputo essere l’inno della Corsica. «Diu vi salvi Regina / E madre universale / Per cui favor si sale / Al paradiso». È un canto bellissimo, doloroso e struggente, di quelli che quando lo canti la voce deve andarlo a pescare giù, nelle caverne più recondite dell’anima. «Voi siete gioia e riso / Di tutti i sconsolati / Di tutti i tribolati / Unica speme». È un canto che non può essere catalogato come musica, è un lamento, una preghiera, un inno di battaglia che viene fuori dalle viscere della terra, e come ogni canto che viene fuori dalle viscere d’una particolare terra, solo in quella terra può essere cantato. A lei appartiene. E chi lo canta deve essere in sintonia con i suoi reconditi meccanismi, che avvengono nelle oscurità del sottosuolo, nel profondo del rumoreggiare del mare, nelle altezze insondabili del cielo e delle nubi. «Voi dei nemici nostri / A noi date vittoria / E poi l'eterna gloria / In paradiso». Composto nel 1097 in latino ed ispirato al Salve Regina, questo canto divenne nel 1735 inno nazionale della Corsica quando venne proclamata l’indipendenza della nazione sotto la protezione della Vergine Maria. Ascoltando questo inno mi sono ricordato l’esperienza di Simone Weil. Ed anche le parole di sant’Agostino: «Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas», non uscire da te stesso, rientra in te, nel tuo intimo risiede la verità. Presi da tanti eventi esteriori – per la carità, sacrosanti, non voglio assolutamente sminuire la loro importanza – ma a volte anche ammaliati, storditi e confusi da essi, trascuriamo ciò che accade in noi stessi, nella nostra anima. O che potrebbe accadere, se lo volessimo.

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