Ricordare, ma come?

Nel giorno dedicato alla Shoah, lo sterminio degli ebrei, ricordiamo anche la Porrajmos, il genocidio spesso dimenticato dei rom e dei sinti nei campi di concentramento nazisti
shoah

Si dice spesso che la memoria vada aiutata. Soprattutto in una società nella quale si va perdendo il contatto stretto con le tradizioni e quel concetto di famiglia allargata e intergenerazionale che crea quel legame quasi carnale con il passato.

 

Il 27 gennaio è la data che nel luglio del 2000, con la legge 211 del Parlamento italiano, è stata scelta come Giorno della memoria. La mente torna indietro a quel 27 gennaio del 1945 quando le truppe sovietiche arrivarono infine ad Auschwitz, aprendo le porte del campo di concentramento in cui più di un milione di persone perse la vita, liberando circa 7 mila superstiti. In questo stesso giorno vorremmo ricordare anche la Porrajmos (in lingua romani significa devastazione), il genocidio dimenticato di 500 mila rom e sinti.

 

In pochi però sanno che la Giornata della Memoria è anche un segno di speranza aperto al ricordo dell’azione di chi disse di no alla persecuzione. Così come definita dalla legge che la istituisce, questa giornata ricorda non solo coloro che «hanno subito la deportazione, la prigionia e la morte» ma anche «coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».

 

Come consuetudine, da vari anni la città di Roma propone numerose iniziative in quest’occasione. La “Casa della memoria e della storia” di via San Francesco di Sales organizza un ciclo di incontri, proiezioni di film e conferenze che trasformano il Giorno della memoria nella Settimana della memoria. Inoltre sono previste mostre – come quella dell’artista Giorgio Sorel dal titolo Il Cerchio e la Shoah – e concerti, ma anche iniziative un po’ più particolari. È il caso dell’evento Memorie d’inciampo a Roma, che il 12 e 13 gennaio ha coinvolto cinque municipi della capitale nei quali sono state posizionate 54 “pietre d’inciampo” dall’artista tedesco Gunter Denmig. Questi sampietrini sono stati lasciati davanti alle case in cui hanno vissuto dei deportati e recano sulla superficie di ottone un’iscrizione con il nome, l’anno di nascita, data e luogo di deportazione e data di morte, se nota. Nel mondo fino ad oggi, le “pietre d’inciampo” sono circa 22 mila.

 

Numerosi anche gli appuntamenti istituzionali nella giornata di oggi: dall’incontro in Campidoglio alla premiazione del concorso nazionale I giovani ricordano la Shoah con il presidente della Repubblica, fino all’incontro in sinagoga con i sopravvissuti allo sterminio.

 

«C’è bisogno di allargare il concetto di memoria». Esordisce così Donatella Parisi della fondazione Centro Astalli dei Gesuiti che segue il progetto Incontri, che propone ai giovani delle scuole un percorso di scoperta dell’“altro” e della sua fede attraverso non solo lo studio, ma anche l’incontro con un credente e la visita del luogo di culto della sua religione. La necessità di lavorare continuamente sull’educazione dei giovani ricordando il passato, ma con gli occhi bene aperti sul presente e una speranza per il futuro sembra essere l’approccio di base del progetto.

 

«I testimoni ebrei che portiamo a parlare ai ragazzi nelle scuole sono normalmente giovani che non hanno vissuto sulla loro pelle il dramma della Shoah. Ma per esempio – racconta Parisi – a volte abbiamo degli ebrei tripolini che raccontano altre storie di persecuzione». Gli occhi aperti sul presente mostrano infatti una serie di altre tristi realtà forse meno conosciute. «Ancora oggi ci sono delle persone che muoiono per la violazione dei diritti umani. Ed è per questo che noi lavoriamo: per far conoscere ai ragazzi non solo le altre religioni, ma anche il mondo dei rifugiati tramite il progetto Finestre».

 

Un detto recita così: «Vivete per il presente, sognate per l’avvenire, imparate dal passato». Lavorare quotidianamente sull’educazione delle giovani generazioni mantiene viva la speranza che ciò sia possibile.

 

 

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