Una resistenza civile contro la guerra, dialogo con Danilo Amadei

Come rispondere al clima di progressiva assuefazione verso il riarmo che giunge fino ad ipotizzare l’uso di bombe nucleari presenti sul nostro territorio? Che tipo di consapevolezza esiste nella società e nella Chiesa nonostante la forte presa di posizione di Francesco? Seconda parte del dialogo con Danilo Amadei, educatore e presidente della casa della pace di Parma
Resistenza Foto Ermes Beltrami/LaPresse

Continuiamo il dialogo con Danilo Amadei, con il quale ,nella prima parte già pubblicata ( cfr link) , siamo partiti dalla resistenza armata opposta alle squadre fasciste nel 1922 nel quartiere popolare di Oltretorrente per poi allargare la prospettiva alla scelta della resistenza nonviolenta nello scenario di un mondo che non si libera dalla guerra e dove i vertici militari e politici affrontano apertamente l’eventualità del precipitare degli eventi verso l’uso estremo e senza ritorno dell’arma nucleare.

Non avverti anche tu che la narrazione sulla necessità della guerra veicolata a livello politico sia ormai dominante nelle coscienze nonostante le percentuali esibite della popolazione contraria alla guerra?
Temo che dal dopo attentato alle Torri gemelle (con l’appoggio incondizionato alle guerre in Iraq e Afghanistan) si sia rotta la possibilità di un confronto sincero, vero, su quanto serve al nostro mondo per offrire nuove scelte politiche e strumenti concreti per rispettare quanto previsto dalla carta dei diritti dell’Onu.

Anche l’atteggiamento nei confronti della guerra all’Ucraina è in questa scia. Guai a parlare delle sue cause, del perché abbiamo perso 8 anni dove invece di aiutare al dialogo abbiamo rifornito di armi i Paesi in conflitto, abbiamo trascurato i ruoli potenzialmente positivi di Onu e Ue, lasciandoli ai margini.

La semplificazione degli schieramenti, delle scelte, dei ragionamenti e la tanta propaganda ha oscurato la riflessione, arrivando a censurare anche il papa e la tradizione delle encicliche sociali cattoliche dalla Pacem in terris in poi o a nasconderne le riflessioni e le proposte nell’ambito dei principi.

Quanto incidono i media?
Dipende. Giornali, riviste, centri di ricerca sono spesso finanziati da imprese che operano nella ricerca e nella produzione di armi e difficilmente hanno la libertà di esprimere un pensiero critico. Non è un caso che Avvenire, il Manifesto e pochi altri siano emarginati dal dibattito o utilizzati solo come voci fuori dal coro. E siano del tutto ignorate le voci contro la guerra in Russia e in Ucraina (in altri Paesi addirittura sono ignorate le guerre, tanto più se compiute da “nostri” alleati come la Turchia contro i curdi).

Io frequento quotidianamente i giovani (ed anche i bambini) e non c’è cedimento sulla contrarietà alla guerra e alla violenza, ma rimane lo sconcerto di come sia possibile che se la violenza è vietata tra gli individui e i gruppi sociali sia concessa ed addirittura sostenuta ed alimentata con le armi tra Stati che sono fatti da individui. Già Gandhi e papa Benedetto XV, nell’enciclica “Pacem, Dei munus pulcherrimum” del 1920,  ragionavano di questo arrivando a sostenere quanto poi troviamo nel preambolo dell’Onu e nella sua organizzazione, inapplicato e mai rivisto in questi quasi 80 anni, a parte il meritorio sforzo di Boutros Ghali dopo la guerra in ex Jugoslavia.

A partire da questo dato di fatto è lecito chiedersi a cosa serva invocare l’adesione al trattato di abolizione delle armi nucleari se la dottrina nucleare della Nato si impone a qualsiasi tipo di governo ci sarà in Italia?
Abbiamo perso l’occasione storica del tempo di Gorbacev e del suo tentativo di andare, insieme alla fine dell’Urss, anche oltre la deterrenza nucleare dal 1991 e con la prima Guerra nel Golfo non c’è stato più nessun tentativo serio di invertire la rotta. Il Trattato Onu del 2017, di abolizione delle armi nucleari, è importante perché offre un orizzonte almeno di possibilità di dialogo a chi vorrà provare a ripristinare rapporti fondati sulla forza dei Diritti e non sulla violenza delle armi. Certo il potere militare industriale è preponderante, ma credo che non riuscirà a spegnere le tante voci (a partire da quella della Chiesa) che vogliono un futuro davvero sicuro per i nostri nipoti. Gli interventi (anche di persone che ho conosciuto e stimo come Manconi) che tra guerra nucleare e perdita della libertà scelgono la prima, mettono paura, ma spero che esprimano più una posizione emotiva che politica.

Questo per quanto riguarda l’élite politico culturale E la gente comune? Cosa ne sa di ciò che sta accadendo?
Ti rispondo con un esempio. Nel 2021, durante le manifestazioni nelle piazze di Parma il 6 e il 9 agosto, ricorrenza di Hiroshima e Nagasaki, abbiamo intervistato i giovani che passavano a proposito delle armi nucleari e sulla loro presenza a Ghedi (80 km in linea d’aria da Parma) e ad Aviano. Nessuno ne sapeva nulla, pensavano che ci riferissimo ad altri Stati lontani ed erano stupiti di quanto spiegavamo e delle nostra raccolta di firme per la loro messa al bando, che nella quasi totalità sottoscrivevano.

Non avverti comunque nel sentire comune, anche e soprattutto dei credenti, che il possesso dell’atomica è percepita, in maniera tragica come sappiamo, quale garanzia di sicurezza? 
Bisogna riconoscere che anche nella Chiesa, nonostante Francesco, questi temi sono marginali. Una curiosità. Nell’ottobre 2021 il vescovo di Parma, Enrico Solmi, mi ha chiesto di andare a presentare la “Fratelli tutti” ai preti e ai diaconi delle diocesi (l’avevo già fatto in un paio di incontri, con proposte di attività, agli insegnanti di religione e avevo scritto un paio di articoli su riviste). Ho accettato con imbarazzo scoprendo che un terzo circa non l’aveva nemmeno acquistata e più della metà non l’aveva letta, a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione.

Come si spiega questo dato di fatto?
Si parla troppo poco dei pericoli delle armi nucleari, anche nuove, e di distruzione di massa, come si faceva negli anni ‘80, non si fanno più vedere filmati sui loro effetti, gli scienziati stessi su questi temi sono silenziati o emarginati, per cui, per molti giovani, i riferimenti sembrano lontani nel tempo e nello spazio.

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