A Reggio Emilia la fotografia europea

Fino al 12 giugno la città emiliana accoglie mostre di grandi maestri e di giovani esordienti che raccontano storie intime e aperte del nostro tempo.
fotografia europea
Foto di Mary Ellen Mark

Molteplici sguardi sulla contemporaneità attraverso il medium della fotografia, per interrogarsi sul ruolo delle immagini e della cultura visiva in questo particolare momento storico. È quanto ci offre la 17esima edizione del festival Fotografia Europea 2022 di Reggio Emilia, che quest’anno ritorna con una forte spinta propulsiva data dal titolo Un’invincibile estate, una frase di Albert Camus sul continuo rinnovarsi della vita: «Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate». Le sale dei monumentali Chiostri di San Pietro sono il centro espositivo del festival con ben 10 mostre, affiancati da Palazzo Mosto, la Biblioteca Panizzi, la Collezione Maramotti e altri spazi cittadini.

Iniziando dai Chiostri, al piano terra si incontra la statunitense Mary Ellen Mark, fotografa documentarista scomparsa nel 2015, che per quasi 50 anni ha viaggiato in tutto il mondo incontrando e fotografando moltissime persone, particolarmente le donne, in una varietà di situazioni complesse e spesso difficili, dolorose, a volte quasi impossibili.

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Foto di Nicola Lo Calzo

Al primo piano sono collocati diversi autori. Nicola Lo Calzo si lascia ispirare dalla vita di San Benedetto il Moro, il primo santo nero della storia moderna considerato un simbolo dei nostri tempi, tra il razzismo banalizzato e l’umanità condivisa. Il titolo Binidittu, racconta le storie di chi cerca la strada per la libertà, una riflessione sulla condizione delle persone migranti nel Mediterraneo attraverso la figura di questo santo. Hoda Afshar ha fotografato le tracce che la forza del vento lascia sui paesaggi dell’Iran e la sua gente, gli intrecci di tradizioni e credenze che il vento porta con sé. Carmen Winant lavora sulle vecchie diapositive. Ne ha trovate e raccolte molte centinaia, di proteste, di disordine sociale, di nascite e di piccoli mondi. Proiettandole in più pareti ci invita a immaginare storie coraggiose e di dissenso. La giapponese Seiichi Furuya nella sua mostra racconta il primo e l’ultimo viaggio che ha fatto con la moglie Christine, raccogliendo i ricordi dei momenti trascorsi insieme prima che morisse. Ken Grant fotografa il porto e la discarica di Liverpool. Affezionato a questo luogo, Ken da ragazzo ci ha lavorato, e da adulto ha deciso di immortalare la vita delle persone che ogni giorno passano di lì. Guanyu Xu ci mostra la sua ribellione e durante un fine settimana riempie la grande casa dei suoi genitori di foto grandi e piccole, micro e giganti. Le appende alle pareti, al soffitto, alle tende; le nasconde nei cassetti della biancheria, le appoggia sul letto e sui cuscini.

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Foto di Chloé Jafé

Chloé Jafé con le sue immagini, alcune dipinte, racconta la storia delle donne che fanno parte della Yakuza, la mafia giapponese tra le più leggendarie al mondo. Per farlo studia un anno intero, impara il giapponese e riesce a infiltrarsi. Alexis Cordesse usa le fotografie di altri. Quelle in mostra sono state scattate da persone siriane che ora vivono lontano dalla loro terra di origine. Una raccolta di momenti felici.

Spostandoci a Palazzo Mosto, altra sede del Festival, troviamo Jitka Hanzola. Nata in Repubblica Ceca, Jitka fotografa spesso le persone, ma anche animali e paesaggi. Molte di queste foto sono state scattate a ragazzi e ragazze che abitano a Reggio Emilia, ma con famiglie che provengono da altri Paesi del mondo. Il titolo è Doorway e significa stare sulla soglia. Racconta un momento di passaggio tra il passato e il futuro.

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Foto di Oyzarbal

Si prosegue alla Galleria Santa Maria, dove troviamo la spagnola Gloria Oyarzabal che racconta i musei e le storie che conservano.

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Foto di Maxime Riché

Maxime Riché ha come soggetto la vita delle persone di Paradise, una città della California distrutta nel 2018 da un grande incendio. Maxime fotografa chi ha perso tutto ma ha deciso di resistere e continuare a vivere lì. L’ultima artista è Simona Ghizzoni, la quale all’inizio della pandemia si è trasferita in un piccolo paese dell’Appennino Reggiano insieme alla sua famiglia. Il titolo della sua mostra è Isola e racconta di com’è cambiata la sua vita.

Ad abbracciare il festival, numerose altre mostre partner organizzate dalle più importanti istituzioni culturali cittadine e ospitate presso i propri spazi.

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