Referendum lavoro, votare Sì per ridare centralità alle persone

I quesiti proposti interessano la vita concreta delle famiglie italiane, indipendentemente dall’orientamento politico. Una vittoria del sì ai referendum non potrebbe essere ignorata da questo e dai futuri governi, come richiamo di attenzione al tema dei rapporti di lavoro, ed in particolare alla tutela contro i licenziamenti illegittimi e discriminatori, il contrasto alla precarietà e l'attenzione reale alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Un contributo al Focus sul dibattito relativo al Referendum dell'8 e 9 giugno
Manifestazione contro morti sul lavoro, Firenze ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI

Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani sono chiamati a partecipare ai referendum popolari abrogativi su cinque quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza.

Per quanto riguarda il tema del lavoro, il quesito n. 1, è quello più rilevante e simbolico.

Si tratta della richiesta di abrogazione del Jobs Act, che ha ulteriormente ridotto le garanzie (già precedentemente diminuite dalla riforma Fornero) per i lavoratori illegittimamente licenziati.

L’art.18 dello Statuto dei Lavoratori prevedeva, per le imprese con più di 15 dipendenti, la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di accertata illegittimità del licenziamento. Se il licenziamento era illegittimo il lavoratore, che vinceva la causa, tornava a lavorare. La norma negli anni è stata sempre oggetto di attacchi, e difesa con manifestazioni oceaniche (come quella del 23 marzo 2002).  L’articolo 18 è infine stato modificato dalla cd. Legge Fornero. Ulteriore diminuzione delle tutele si è avuta poi con il Jobs Act adottato durante il governo Renzi. Con quest’ultima norma si introduceva una differenza di trattamento tra i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, per i quali valevano le garanzie preesistenti, e quelli assunti dopo quella data. Per i nuovi i lavoratori il diritto alla reintegrazione piena era limitato alle ipotesi di licenziamenti nulli, discriminatori o orali; la reintegrazione ridotta era prevista, come già dalla legge Fornero, accompagnata da un risarcimento non superiore a 12 mensilità. Per tutti gli altri tipi di licenziamenti illegittimi, in particolare per i licenziamenti collettivi, era previsto un risarcimento assai modesto.  

Ora, il quesito referendario chiede l’abrogazione totale di quella legge, con la conseguenza, in caso di esito positivo della proposta, che si tornerà all’applicazione dell’art. 18 S.L. come modificato dalla Legge Fornero. Dunque, il risultato non potrà essere il ritorno al vecchio art. 18. In ogni caso un miglioramento rispetto alla situazione attuale, soprattutto in relazione ai licenziamenti collettivi. I sostenitori del no, tuttavia ribadiscono che i risultati del referendum sarebbero molto modesti, visto che non si torna all’originario articolo 18. I fautori del sì replicano affermando che, se non altro, si supera la diseguaglianza di tutele in ragione della sola data di assunzione. Ovviamente i fautori del sì sperano anche in un effetto di trascinamento, il referendum sarebbe anche un grande plebiscito popolare per il ripristino del diritto alla reintegra nel posto di lavoro.

Il secondo quesito riguarda, invece, l’indennità risarcitoria nei casi di licenziamenti illegittimi nelle imprese con meno di 15 dipendenti, indennità che è prevista in misura estremamente ridotta, tra le 3 e le 6 mensilità, incrementabili per anzianità di servizio superiori ai 10 anni.

Come sappiamo, la L. 604/1966 aveva previsto quella indennità sulla base delle condizioni del mercato del lavoro di quell’epoca, quando le piccole imprese avevano natura prevalentemente familiare e dunque, in quell’ottica, era sembrato opportuno bilanciare la tutela dei lavoratori con la necessità di non danneggiare il piccolo imprenditore con disponibilità economiche ridotte.

Inoltre, a quell’epoca, le possibilità per il lavoratore licenziato di reperire un altro posto di lavoro in tempi contenuti erano certamente superiori a quelle odierne.

Oggi, da un lato, la situazione è ben diversa data l’esistenza diffusa di aziende con pochi dipendenti, ma con un elevato fatturato; sotto altro profilo, poi, il mercato del lavoro è in grave crisi, con la conseguenza di una estrema difficoltà per il lavoratore licenziato di reperire altra occupazione.

Da qui è nata la necessità di intervenire con il quesito referendario che, se approvato, consentirebbe al giudice di determinare l’indennità risarcitoria tenendo conto della reale situazione di danno subito dal lavoratore, anche in relazione alle dimensioni e alla forza economica del datore di lavoro. I fautori del no replicano che è indispensabile che il limite dell’indennizzo sia prestabilito. I fautori del sì, a loro volta, dicono che non è vero che l’indennizzo sarebbe senza limiti. I limiti sono quelli ordinari civilistici della prova del danno effettivo subito dal lavoratore per il licenziamento ingiusto.

Il terzo quesito referendario attiene, invece, al problema dei contratti a termine.

Si tratta di uno dei settori in cui appare maggiormente evidente la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Nonostante il miglioramento dei dati sull’occupazione, due terzi delle nuove assunzioni continuano ad avvenire a termine. Se vince il “sì” nel referendum l’impresa potrà continuare a utilizzare i rapporti a termine per rispondere a esigenze di reale flessibilità, concordate in sede sindacale, e non per coprire a rotazione posizioni stabili di lavoro.

Con l’abrogazione voluta dal referendum, al contratto di lavoro subordinato potrebbe essere apposto un termine di durata non eccedente i ventiquattro mesi, ma solo in due ipotesi: la necessità di sostituzione di lavoratori assenti o altre, indicate dai contratti collettivi, stipulati non da una qualunque associazione sindacale, ma da quelle dotate di una adeguata rappresentatività.

I fautori del no affermano che, da quando l’obbligo della “causale” (limite “qualitativo”) è stato sostituito con i limiti cosiddetti “quantitativi”, il contenzioso giudiziale si è molto ridotto, e anche la quota di lavoratori a termine è (sia pur di poco) diminuita.

Il quarto quesito referendario è relativo alla sicurezza sul lavoro negli appalti. In particolare, gli appalti che vengono disposti dalle imprese nell’esercizio della loro attività.

Quando un lavoratore si infortuna è in linea di massima coperto da Inail ed assicurazioni. Il referendum intende promuovere il rafforzamento della sicurezza e della salute dei lavoratori, stabilendo la responsabilità civile solidale dell’impresa appaltante, per la parte non coperta dalle assicurazioni. Questo dovrebbe auspicabilmente assolvere a una funzione di deterrenza, spingendo chi ha delegato ad altri i propri obblighi in materia – introducendoli nei luoghi dell’impresa –  a non disinteressarsi del tutto della sicurezza del lavoro. 

Nel caso di vittoria nel referendum, il committente sarà tenuto a verificare il rispetto delle misure di sicurezza sul lavoro da parte dei subappaltatori, pena la propria responsabilità patrimoniale.

In conclusione, uno sguardo complessivo sui quesiti non può che essere positivo, sia pur nei limiti dello strumento referendario. Il limite è consueto: il referendum può solo abrogare, e non creare norme nuove. Quindi, al giorno d’oggi, ha anche assunto il significato di un sondaggio particolarmente qualificato ed esteso. Una vittoria del sì ai referendum non potrebbe essere ignorata da questo e dai futuri governi, come richiamo di attenzione al tema dei rapporti di lavoro, ed in particolare alla tutela contro i licenziamenti illegittimi e discriminatori.

Altrettanto sentito il tema del contratto a termine. I giovani avvertono fortemente il problema della sicurezza del lavoro, e della possibilità di conseguire assunzioni a tempo indeterminato, che poi possono spendere in banca per il sospirato mutuo della casa. Infine, il tema della sicurezza sul lavoro, sempre in primo piano.

I promotori del referendum puntano, quindi, a porre questi temi al centro dell’agenda politica governativa, tornando a chiamare gli italiani alle urne, per far vedere quanto è sentito questo tema dalle famiglie italiane, indipendentemente dall’orientamento politico.

È pur vero che il raggiungimento del quorum è sempre più difficile, anche in virtù del fatto che si deve computare un crescente numero di italiani all’estero, giunto ormai a sei milioni e mezzo di iscritti all’AIRE.

Italiani che, ovviamente, sono poco, o per nulla, interessati a norme di diritto del lavoro che non conoscono e che a loro non si applicano. È quindi urgente una riforma del quorum referendario che, se non altro, non consideri questi nostri concittadini nel quorum (pur conservando loro il diritto di voto).

Ultimo nodo: ho sempre criticato la strategia dell’astensione. Non mi persuade e finisce per svalutare uno strumento, quello referendario, che converrebbe a tutti.

VEDI TUTTI GLI INTERVENTI RELATIVI AL REDERENDUM SUL FOCUS DI CITTA’ NUOVA 

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons