Su Raiplay dialogano giovani e genitori

Storie, ispirazioni, paure, sogni e fragilità dei giovani della Generazione Z. In dialogo con i grandi.

È inquadrato uno spazio, dentro Tu non sai chi sono io, di cui si parla tanto e insieme poco. È quello dell’incomunicabilità tra genitori e figli, dei loro mondi facilmente paralleli: un tema tanto vivo, percepito, registrato, a volte solo chiacchierato, quanto poche volte attraversato bene, affrontato in modo intelligente, non stereotipato, ascoltato veramente.

Su questa distanza, su questa frattura, per certi versi inevitabile e per altri no, ragiona l’interessante docu-serie disponibile in esclusiva su Raiplay. Parla di giovani tra i sedici e i vent’anni – a volte anche di più – di quella generazione, la cosiddetta Z, oggi in procinto di saltare pienamente nella vita.

Ce la descrive accumulando storie, dando voce a giovani ispirazioni, paure, sogni e fragilità. Ce la racconta facendola parlare con i grandi, a distanza, tramite dispositivi, prima di un abbraccio vero, di carne, ma anche osservandola nel dialogo tra coetanei, nei giardini, nei bar, nelle piazze. Ci parla di “lei” scrutando anche gli adulti che di quel salto, della sua forza e qualità, sono in qualche modo responsabili, complici, allenatori, motivatori di chi lo deve compiere.

Parla di una relazione non semplice, Tu non sai chi sono io, ma al tempo stesso ne ribadisce l’importanza e sottolinea quanto il lavoro dei genitori sia strumento prezioso per lo sviluppo dei figli, così come un vissuto caratterizzato da errori, grandi problemi familiari e soprattutto assenze, lasci segni evidenti nello sviluppo delle vite in erba.

C’è il presente dei ragazzi di oggi nei piccoli documentari – lunghi circa mezz’ora l’uno – di Tu non sai chi sono io, mode, tendenze, abitudini, ma c’é anche l’importanza atemporale, il bisogno ribadito, di madri e di padri che sappiano assumersi al meglio, con impegno e serietà, le responsabilità del proprio ruolo.

Su questo doppio binario si muovono i dodici episodi indipendenti rilasciati a gruppetti dalla fine del 2020, con gli ultimi quattro disponibili in piattaforma dal 26 febbraio scorso. Sono le storie di Domenico, ventiduenne della periferia di Palermo, di Samuele, aspirante ballerino classico di Centocelle, a Roma, di Alessandra, di 18 anni, che vuole vivere di canto, e di Giulio, cantautore diciassettenne di Verbania, che si mette in viaggio con suo padre per capire meglio chi è. Sono voci aggregate a un coro che chiede di essere conosciuto, visto per quello che è: persone, pezzi unici, somma di io, prima che categoria, prima che noi astratto e insieme significativo.

Hanno il coraggio e la voglia di raccontarsi, di svelarsi al meglio, dicendo anche cose scomode, dolorose, ai loro genitori e agli adulti in generale, perché anche loro/noi possano/possiamo riflettere meglio, fare l’onesta analisi di come sono/siamo, per evitare più facilmente ogni frettolosa e sommaria, non empatica, sintesi su questa nostra gioventù. Tu non sai chi sono io è un dirsi in faccia un pò di cose, è anche dire ai grandi dove sbagliano, ed è il primo passo per una relazione più autentica tra le parti, per un ascolto più attento e costruttivo.

Non è una minaccia dei figli alle loro mamme e ai loro papà, anzi, dietro quel titolo apparentemente provocatorio, c’è un desiderio di verità e di tenero avvicinamento, c’è la naturale, magari sottile, magari rabbiosa, magari orgogliosa, richiesta di aiuto. C’è la voglia di camminare in quello spazio, di accorciarlo un po’, per quanto possibile, di aprire il proprio mondo per farlo conoscere e stare meglio tutti, quel mondo che spesso i figli nascondono per paura di essere giudicati negativamente, e che i genitori possono far finta di non vedere perché scomodo, perché pauroso, perché di una lingua e di uno schema troppo diverso dal loro.

È una prova di dialettica, Tu non sai chi sono io, che mette insieme le luci e le ombre dei protagonisti senza paura, che fa l’elogio dell’incontro e di domande fondamentali, tipo Come stai? Come stanno davvero i nostri figli? Come stiamo noi che dobbiamo prendercene cura? Come stanno i giovani in questo difficile 2021?

A vederli in questo programma agile, scorrevole, adatto a noi e a loro, di nuvole e di sole, sono confusi, pieni di contrasti interiori, spaesati, soli, conoscono la paura ma anche il desiderio, e sono vitali, ricchi di emozioni, e questo fa ben sperare. Forza ragazzi.

 

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