I rapporti tra politica e cartelli in Messico

In Messico una corruzione senza limiti si è infiltrata nei gangli dello Stato a livelli aberranti: cartelli della droga che organizzano elezioni, presidenti e governatori che favoriscono un cartello, ministri, militari, poliziotti collusi col crimine. La droga non è solo un vizio.
(AP Photo/Fernando Llano)

Il caso degli studenti di Ayotzinapa è uno spaccato emblematico della realtà che si vive in Messico. Tra il 26 ed il 27 settembre 2014, alcune centinaia di studenti universitari avevano deciso di utilizzare bus da loro sequestrati per viaggiare fino alla capitale, dove avrebbero partecipato a una manifestazione. Si recarono a Iguala, dove la moglie del sindaco, che fungeva da collegamento con un cartello locale della droga, celebrava una festa. Temendo che la presenza degli studenti potesse rovinarla, il sindaco ordinò alla polizia municipale di bloccarli. Si creò un posto di blocco che gli studenti cercarono di forzare. Dagli spintoni si passò alle armi. Gli studenti si dispersero e vennero inseguiti. Durante la caccia, i poliziotti confusero il bus di una squadra di calcio con quello degli studenti, provocando vari feriti e tre morti, tutte persone estranee ai fatti. Alla fine poterono mettere le mani su 43 studenti. Ne torturarono e uccisero alcuni per poi consegnare gli altri al locale cartello della droga. Credendo che fossero membri di un gruppo rivale, i narcotrafficanti uccisero gli studenti, facendone poi sparire i resti. Sindaco e governatore si diedero da fare per depistare le indagini. La rete di collusioni che va dal sindaco e la moglie, alle forze di polizia, al governatore e ai criminali è semplicemente aberrante, ma non per questo nuova o insolita.

foto segnaletica El Chapo dopo estradizione negli Stati Uniti (da Wikipedia)

A quell’epoca il presidente del Messico Felipe Calderón, eletto grazie a brogli elettorali orchestrati dai cartelli della droga, aveva dichiarato guerra al narcotraffico, scatenando un’ondata di violenza senza precedenti in un Paese già di per sé violento. In realtà, la vera lotta era contro alcuni cartelli, nemici di quello di Sinaloa capitanato da Joaquín Guzmán, conosciuto come Chapo. Il Governo e il Chapo coordinavano i loro movimenti per sconfiggere soprattutto i terribili Zeta, tutti ex militari divenuti criminali. Ma siccome il potere statale è sempre diviso, apparivano nella lotta fazioni della polizia federale o unità dell’esercito, governatori e sindaci alleati degli Zeta, mentre altre fazioni erano fedeli al governo. Non era per niente anomalo che certi militari e poliziotti fossero agli ordini dei narcotrafficanti. La faida fu gigantesca, i morti migliaia, e la vittoria finale fu del Chapo. Questi, smise di appoggiare il partito di Calderón (il Pan) di cui faceva parte anche l’ex presidente Vicente Fox, per tornare ad appoggiare il Prl, il partito degli ex presidenti Carlos Salinas de Gortari e Ernesto Zedillo, tutti a suo tempo installati sulla poltrona presidenziale grazie ai voti dei cartelli.

Come spiegare il nesso tra politica e criminalità? L’idea è che impedire il mercato della droga sia impossibile, anche perché non conviene, visto che finanzia profusamente politica e corruzione. Dunque, meglio averlo sotto controllo ed evitare eccessi. Nei fatti, i cartelli credono spesso di avere sotto controllo il governo, e i politici credono il contrario. La lotta è per il controllo della via della droga, principalmente cocaina. La droga arriva in Messico dalla Colombia per poi passare agli Stati Uniti, dove pure si ragiona con lo stesso pragmatismo: evitare che i cartelli facciano troppo rumore, controllare il traffico affinché avvenga in modo ragionevole. Quando qualcuno sgarra troppo, come il Chapo che volle trasformarsi nel re mondiale della droga, lo si arresta e lo si consegna alla giustizia statunitense, le cui carceri sono più sicure di quelle messicane.

Il contesto descritto spiega anche perché più del 90% degli omicidi resti impunito, spiega il livello elevato di violenza con circa 34mila morti l’anno, nell’80% dei casi legati al narcotraffico, ed anche il numero dei desaparecidos: 80mila negli ultimi 15 anni. Spiega anche il flusso inarrestabile di persone che cercano disperatamente di valicare la frontiera con gli Stati Uniti, fuggendo da una vita fatta di violenza e di soprusi, dove spesso i cartelli controllano la vita nel territorio, magari obbligando le persone a lavorare nelle loro coltivazioni di papavero o nei loro laboratori. Un dramma umanitario complesso, che abbraccia Paesi produttori e Paesi consumatori, un vizio che si alimenta di sangue.

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