Raccogliere la sfida dell’Educazione

A proposito del Rapporto del Progetto Culturale della Cei, presentato ai lettori di Nuova Umanità n. 186
Michele De Beni

Negli ultimi anni è stata prodotta una mole poderosa di documenti ufficiali[1] che sempre più cercano di richiamare l’attenzione su alcuni importanti interrogativi riguardanti la centralità dell’educazione e il suo ruolo decisivo per lo sviluppo umano. Discorsi e ricerche che, a livello mondiale, indicano come la questione ormai stia assumendo la caratteristica di una vera e propria emergenza, forse la più difficile da affrontare, anche perché molte le variabili e forti i condizionamenti che entrano in gioco oggi nell’educazione delle giovani generazioni. Pensiamo al ruolo esercitato dalla famiglia, dai media, dal gruppo dei pari, dalla comunità. Ruoli molto diversi, spesso contraddittori e in contrasto con quelli esercitati nel passato dalla famiglia e dalla società. Madri e padri, nonni, insegnanti, educatori non sembrano più in grado di comprendere le mutazioni culturali e sociali in atto, e di spiegarsi il fenomeno, alla ricerca di soluzioni che non si sa dove cercare, e comunque delegate ad altri, come alla scuola (oggi percepita come l’unica istituzione in grado intervenire), che a sua volta non sa qual è l’interlocutore e a chi rivolgersi per far qualcosa.

Una sfida quella dell’educazione di cui bisogna avvertire tutta l’urgenza e l’enorme portata in termini di risorse, non solo o unicamente finanziarie, ma soprattutto di energie e mezzi di natura psicologica e morale, necessari per ritrovare il coraggio di educare. Sfida dal cui esito può dipendere davvero il futuro delle giovani generazioni. Un orizzonte nuovo in cui anche molti pur di diversa cultura, fede e orientamento scientifico cercano di riconoscersi, nella volontà di riappropriarsi di un comune denominatore educativo. Perché, se non si avvia questo reciproco, responsabile coinvolgimento, il rischio è che troppe “lezioni” mediatiche continuino comunque a dispensare – e a imporre – la loro suadente quanto irresponsabile pedagogia del “così fan tutti” o dell’ “ognuno è libero di fare quello che vuole”.

Di questa problematica si è occupato anche il Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) con una sua recente, ampia e articolata riflessione riguardante appunto la “sfida educativa”[2]. Non un tema qualunque, ma che riguarda un processo umano primordiale, in cui entrano in gioco le stesse strutture portanti, “i fondamentali”[3] dell’esistenza dell’uomo e della donna: la relazionalità, il bisogno d’amore e di esser amati. Non indicazioni tra le tante per l’educazione, ma finalità che vanno alla radice del nostro essere, dei suoi bisogni ancestrali e diritti irrinunciabili. Infatti sono la dignità umana e la nostra stessa identità che vengono calpestate quando essi sono violati.

Oggi il conflitto, o per lo meno la contrapposizione, vanno per la maggiore nelle dottrine che studiano le relazioni umane, ma spesso anche nella comunicazione quotidiana dove viene spesso esibita la violenza[4]. Ed è da qui che l’educazione può muovere la sua silenziosa ma coraggiosa azione controcorrente, di cambiamento, nel segno di una cultura[5] del rispetto, del dialogo e della reciprocità come dimensioni costitutive del nostro essere umano.

Infatti, fino ad un recente passato, nel campo delle scienze psicologiche e sociali, si sono prodotti molti studi sulla natura violenta ed egoistica dell’uomo, contribuendo a creare una specie di "mitologia dell’aggressività"[6], non tanto diversa, purtroppo, da quella che domina i messaggi televisivi. Oggi, però, si assiste ad una significativa inversione di tendenza. Sono sempre più numerosi gli studi sul comportamento altruistico, sulla reciprocità, sulla cooperazione, sul dono…, tutti importanti segnali di un rinnovato interesse per una "cultura del positivo"[7].

Questo orientamento sta interessando sempre più ogni ambito scientifico e, in particolar modo, quello dell’Educazione. Molto incoraggianti sono i Progetti di ricerca[8] rivolti allo sviluppo delle capacità relazionali, prosociali e altruistiche dei nostri giovani. Mi riferisco alle molte, coraggiose realizzazioni formative in atto in vari Paesi, Comunità e Scuole, sul dialogo, sulla cooperazione, sulla solidarietà, sulla pace…

Si sta imponendo in vari settori di studio e di esperienza la consapevolezza che ci sarà tanta più speranza quanto più sapremo valorizzare la nostra umanità e gli sforzi di fraternità tra tutti[9]. Odio e amore, egoismo e altruismo, morte e vita, divisione e unità sono contemporaneamente vicini e lontani, fuori e dentro di noi. Ma qual è la nostra città? Dove orientare lo sguardo e le nostre energie?

Sono, questi, interrogativi irrinunciabili da rivolgere a noi stessi e ai nostri giovani. Ma essi non possono trovare risposta se non attraverso la ricerca d’unità tra gli uomini, nonostante le innumerevoli lacerazioni dell’uomo e della storia.

Ecco perché, in Educazione, il paradigma dell’unità può esser considerato come “l’ideale degli ideali”, la rivoluzione che più di ogni altra può contribuire all’edificazione di una città vera, fondata sulla formazione dell’uomo-relazione. Una relazionalità, però, che solo se vissuta come risposta al profondo bisogno d’amore di ogni essere umano può trovare il suo più pieno compimento.

Non può esserci paradigma più elevato, coraggioso e ineffabile, per l’educazione che l’amore, quale risposta al connaturale dover-essere dell’uomo. Pur con vari linguaggi e strumenti di lavoro, ne sono convinti tutti quegli studiosi, che con sincerità cercano pace per tutta questa umanità. Da qui la necessità – come indicato nel Rapporto CEI La sfida educativa – di educare alla libertà come faticoso scoprimento di sé e dell’altro. Un cammino di “liberazione” che tanto è pieno ed autentico quanto più orientato alla ricerca del bene che unisce universalmente persona a persona, popolo a popolo, cultura a cultura in vincoli di reciproca responsabilità.

L’educazione è un investimento a lungo termine, ma ogni giorno è la fine e l’inizio di questo lungo e faticoso processo di crescita, che dura anche in età adulta, per tutta la vita. I risultati facili e immediati lasciamoli alle illusorie promesse dell’industria dell’intrattenimento. Occorre un Progetto, non solo politico, ma di vita. E l’educatore deve esserne il cuore. Nel Rapporto-CEI la centralità dell’educatore è particolarmente sottolineata, come lo è il ruolo della comunità, in senso ampio, non solo educativo, ma sociale e culturale: dalla famiglia a quello della comunità cristiana, con particolare riguardo ai modelli di riferimento che riguardano il mondo del lavoro, dell’impresa, dei consumi, dei media, dello sport e dello spettacolo.

Forse un sogno, quello di una comunità veramente educante. Ma non dobbiamo rassegnarci all’inevitabile logica del pensiero debole, e non badare a mezzi e a sacrifici, in modo che tutti coloro che si occupano di educazione in una città possano lavorare, progettare, sognare insieme, lottare uniti e sostenere un cambiamento reale, e credere che è possibile ridare un volto più coraggioso e lungimirante al nostro vivere per i giovani, il futuro della nostra umanità. Un compito che può apparire utopia, vista l’enorme concorrenza dei media, potenti educatori di massa.

Dopo tante dittature e totalitarismi, il rischio è di non riuscire più a percepire che siamo tutti immersi in un nuovo, suadente magma globalizzante, dove tutto e il contrario di tutto convivono tra la quasi totale indifferenza. È per questo che molti avvertono l’urgenza di creare quell’humus di una cultura nuova pronta a raccogliere le sfide che il mercato culturale globale ha lanciato al pensiero, alla coscienza, al senso di responsabilità dell’uomo d’oggi, accettando la sfida, che sostanzialmente è scommessa sull’educazione, sul futuro della stessa umanità.                                                               



[1] Si pensi, ad esempio, al recente Rapporto OCSE, Uno sguardo sull’educazione, settembre 2009 o al Rapporto finale della Conferenza Generale dell’UNESCO, Quale educazione per l’avvenire?, ottobre 2009.

[2] Comitato per il progetto culturale della CEI (a cura di), La sfida educativa, Laterza, Bari, 2009

[3] Così definisce il card. C. Ruini le strutture portanti della realizzazione e dello sviluppo umano (in, La sfida educativa, Op. Cit.).

[4] A. Cavarero, Orrorismo, Feltrinelli, Milano 2007.

[5] G.M. Zanghì, Notte della cultura europea, Città Nuova, Roma 2007.  

[6]I. Eibl Eibesfeldt, Amore e odio, Adelphi, Milano 1996.

[7] Cf., F. Botturi, La generazione del bene. gratuità ed esperienza morale, Vita e pensiero, Milano 2009; L. Bruni, Il prezzo della gratuità, Città Nuova, Roma 2006.

[8] Cf M. De Beni, Prosocialità e altruismo, Erickson, Trento 2000; R. Roche. L’intelligenza prosociale, Erickson, Trento 2004; D. Salfi (e Collaboratori) in varie annate della Rivista “Psicologia e Scuola”, Giunti, Firenze 1990-2003.

9 A.M. Baggio, Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007.

 

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