Questioni di coscienza

Assente dai grandi titoli dei giornali, il tema della procreazione artificiale rimane invece ben vivo e presente in molti cittadini che hanno percepito l’importanza della questione. Non si tratta soltanto di una decisione tecnica: molti grandi princìpi della convivenza entrano in gioco, non ultima l’idea che lo stato vuol dare di sé: intende essere il difensore dei soggetti deboli, oppure assecondare l’ideologia di chi pensa che sia lecito fare tutto ciò che la tecnologia e il denaro mettono a disposizione? “Non vorrei che si insinuasse che i diritti del concepito – ci scrive Giancarlo Maffezzoli – ora siano sostenuti da una norma religiosa, anziché dalla giustizia che lo stato ha il compito di riconoscere e applicare. È la natura infatti che, per prima, segna il passaggio istantaneo e definitivo di un altro essere alla vita. Questo voto di una larga maggioranza della Camera è, laicamente, una nuova riflessione sulla vita. È un’istanza giuridica in un mondo dove forza e debolezza hanno “due pesi e due misure” sulla bilancia del giusto”. Il timore, oggi, è che il testo licenziato dai deputati, da considerarsi – pur migliorabile, come vedremo, in almeno un punto fondamentale – nell’insieme, positivo, venga stravolto dai senatori, come già accadde nella precedente legislatura. E in altre lettere giunte in redazione si pone proprio questa domanda: come comportarsi davanti ad una legge imperfetta? Fino a che punto è accettabile, per la coscienza di un credente e, più in generale, per la retta coscienza di tutti, una legge che, per il fatto stesso di esistere, viola una norma morale? Il testo approvato dalla Camera, infatti, parte dall’accettazione delle tecniche di fecondazione artificiale omologa; la fecondazione artificiale consiste nel produrre embrioni facendo incontrare l’ovulo e gli spermatozoi all’esterno del corpo della donna; è omologa quando ovulo e spermatozoi appartengono all’uomo e alla donna che hanno richiesto la fecondazione, e che sono i genitori del bambino che accoglieranno. In tal modo, si salva il diritto del bambino a crescere con i propri genitori biologici: completamente diverso sarebbe il caso – vietato dal testo approvato dalla Camera – della fecondazione eterologa, nella quale l’ovulo o gli spermatozoi vengono “donati” da figure estranee alla coppia, e che rimangono sconosciute, con gravi conseguenze per la famiglia e per la società (1). Ma rimane il fatto che anche la fecondazione omologa non si limita ad aiutare l’atto coniugale, ma lo sostituisce. La coscienza retta vorrebbe invece che l’inizio di una nuova vita non venisse separato dall’atto di amore coniugale che la genera. È questo il motivo per il quale la dottrina cattolica non considera eticamente accettabile neppure la fecondazione artificiale omologa, e consiglia le coppie che non riescono ad ottenere un figlio naturalmente, di adottare un bambino, rispondendo al suo diritto di avere dei genitori. E non si tratta di un’impresa impossibile, soprattutto l’adozione internazionale che vede impegnati numerosi enti autorizzati – fra cui l’Amu che si ispira alle idealità di questo periodico – che con l’apposita commissione governativa lavorano per renderla sempre più possibile e a costi sostenibili. Un altro aspetto della questione viene sollevato dalla lettera di Anna Maria Garagnani, di Zocca (Modena): è vero che, per arrivare ad avere un bambino in braccio, molti altri vengono sacrificati? È vero, anche se la quantità varia caso per caso. Normalmente vengono impiantati nella donna tre embrioni: è il numero considerato ottimale perché almeno uno di essi attecchisca. Dunque, si parte già con l’idea che, molto probabilmente, due su tre non ce la faranno; se nessuno degli embrioni impiantati si sviluppa, l’impianto sarà ripetuto. In conclusione, vengono “sprecati” tutti gli embrioni che non attecchiscono, più tutti gli altri embrioni congelati e tenuti di riserva, che non vengono più impiantati se la coppia che ha ottenuto il bambino non fa una nuova richiesta. A questi casi se ne può aggiungere un altro: se attecchisce più di un embrione, la coppia – finché non sarà approvata la nuova legge, che nel testo attuale proibisce tale pratica – può richiedere di conservarne solo uno, e di provocare l’aborto per gli altri. Anche l’omologa, in conclusione, produce vittime. Ed è a questo punto che si pone la questione di coscienza: è accettabile una legge che prevede queste possibilità negative? È la coscienza che deve decidere. Anzitutto la coscienza degli aspiranti genitori: è moralmente lecito tutto questo, per arrivare ad avere un bambino in braccio? E la coscienza del personale sanitario, per il quale il nuovo testo prevede la possibilità dell’obiezione di coscienza, cioè di non prestare il proprio intervento nelle tecniche di procreazione artificiale. Ma è in gioco anche la coscienza dei nostri legislatori, di quelli, almeno, che percepiscono la problematica morale legata a ogni tipo di fecondazione artificiale: respingere radicalmente ogni legge che non sia perfettamente rispondente ai dettami della coscienza e della dottrina cattolica, oppure prodigarsi per la migliore legge possibile? Anna Maria Garagnani cita un intervento di mons. Bertone nel quale, ci scrive, “mi sembra che giunga alla conclusione (…) che tutte e due le scelte di coscienza, quella favorevole al compromesso e quella totalmente fedele ai principi della fede e ai diritti naturali della persona, sono egualmente corrette, degne e rispettabili sul piano morale”. Naturalmente condividiamo il principio espresso da mons. Bertone. Vediamo però come esso si possa applicare nella situazione politica concreta. La posizione di deputati e senatori è diversa da quella dei comuni cittadini. Mentre questi ultimi possono semplicemente decidere di ricorrere o non ricorrere a tali tecniche nella loro vita personale, i parlamentari devono tenere conto non solo della scelta che essi farebbero nella loro vita privata, ma anche del comportamento degli altri e delle conseguenze pubbliche delle loro decisioni. Nel corso degli ultimi anni, si è accertato che non esiste alcuna possibilità di varare una legge che vieti anche la fecondazione artificiale omologa. Tra i nostri parlamentari esiste un largo consenso su quei principi di dignità della persona che portano ad impedire quelle pratiche che sono giustamente avvertite come particolarmente negative, quali gli “uteri in affitto”, le “mamme-nonne”, l’inseminazione post mortem; si arriva ad un sufficiente consenso anche sulla volontà di rispettare gli embrioni impedendo che vengano clonati e, anche, che su di essi si faccia sperimentazione: ma sono punti sui quali si sta sviluppando una forte campagna contraria, spinta dagli interessi dei laboratori di ricerca e di certe case farmaceutiche che mirano ai brevetti. I sondaggi compiuti in occasione dell’approvazione del testo alla Camera nella precedente legislatura, confermavano che circa quattro italiani su cinque erano contrari alla fecondazione eterologa; l’opinione pubblica appare invece spaccata in due sulla decisione di concedere alle “coppie di fatto” la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione artificiale: la Camera lo ha concesso, e sarebbe il punto sul quale concentrare l’impegno ad un miglioramento del testo al Senato, per salvare le prerogative della famiglia e il diritto del bambino di nascere in una situazione affettiva, esistenziale e giuridica certa, nella quale i genitori si siano assunti la pienezza delle loro responsabilità, quale può essere data solo dal vincolo matrimoniale. Se accettare una legge che prevede la fecondazione omologa permette di conseguire tutti gli altri risultati, allora la mia personale convinzione è che tale scelta si faccia, perché, in questo caso, i parlamentari opererebbero nell’ottica della “riduzione del danno “, cioè nel tentativo di limitare gli effetti negativi di una legge peggiore. I parlamentari dovrebbero però dichiarare pubblicamente la loro ferma convinzione che anche la fecondazione omologa non è eticamente accettabile. Quale sarebbe l’alternativa a questa soluzione? Nell’assenza di legge, tutte le peggiori pratiche continuerebbero ad essere possibili e non perseguibili. Per questo sembrerebbe, anche se le posizioni di coscienza rimangono ugualmente rispettabili, che la decisione – politica e di coscienza – di varare una legge imperfetta sia preferibile. Purché il testo sia, se possibile, migliorato dal Senato. Ulteriori peggioramenti potrebbero togliere alla legge la caratteristica di “riduzione del danno”. A tutti – parlamentari e cittadini – rimane comunque l’obbligo di cercare di cambiare la situazione economica, sociale e culturale che moltiplica i casi di ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale. Uno stile di vita, infatti, non si modifica solo in parlamento, che spesso si limita a registrare la situazione esistente fuori di esso, ma unendo all’azione politica una azione radicale e quotidiana di impegno concreto e di esempio. Quanto sono, ad esempio, gli imprenditori contrari alla fecondazione artificiale, che favoriscono le gravidanze in età giovanile delle loro dipendenti?

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