Questione di maglie

I tifosi del Genoa obbligano i giocatori a togliersi le maglie: nel calcio esiste ancora una cultura della sconfitta?
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Genova, ore 16:10, stadio Marassi: il Genoa sta perdendo in casa 4 a 0 un'importante sfida salvezza con il Siena. La frangia più scalmanata dei tifosi (?) genoani lancia fumogeni, blocca l'uscita dei giocatori dal campo verso li spogliatoi e mette sotto sequestro una partita di serie A.
 
A gran voce  impongono ai propri giocatori di togliersi le maglie rossoblu che, secondo loro, visti i pessimi risultati, «non sono degni di indossare». I giocatori, con il presidente Preziosi in mezzo a loro, cedono al ricatto. Il capitano raccoglie le maglie. Una scena surreale, assolutamente unica sui campi di calcio. I giocatori del Genoa sono umiliati: alcuni piangono.
 
«Una totale umiliazione per il calcio», titolano oggi i quotidiani. «Vergogna, vergogna, vergogna! – tuona il presidente del CONI Petrucci – Quanto successo a Genova rappresenta un ulteriore segnale del degrado morale da cui il sistema calcio in Italia deve al più presto prendere le distanze, allontanando quanti concorrono a minarne la serenità. La maglia è il simbolo intangibile di una squadra e non può essere né offesa, né vilipesa o, tanto meno, oggetto di trattative. Aver chiesto e acconsentito di far togliere le maglie ai giocatori del Genoa rappresenta un sacrilegio sportivo di cui i colpevoli dovranno rispondere in ogni sede».
 
Questione di maglie? «In un’epoca in cui è evidente – come spiegava provocatoriamente Montaban, grande scrittore e tifoso del Barcellona – la crisi delle ideologie, in cui è chiaro il ridimensionamento della militanza politica e dove persino gli atteggiamenti religiosi soffrono di mancanza di prospettive, il calcio è la sola, grande, religione praticabile. C’è in questo sport un aspetto finanziario, mediatico, pubblicitario, ma non sottovaluterei il suo lato liturgico». E svestire i “paramenti sacri” del football è letto come una bestemmia. La prepotenza, la violenza, la mancanza di cultura che avanzano sono davvero meno importanti di una maglietta?
 
Il presidente del Genoa, Preziosi, se l'è presa con i poliziotti, minacciando il suo ritiro: «Mi aspetto una risposta precisa da parte della polizia: in caso contrario potrei fare delle riflessioni e lasciare il calcio». Eppure il questore di Genova era stato molto determinato: «Non cedere al ricatto: siamo in grado di gestire la situazione». Preziosi non l'ha ascoltato, assecondando quei tifosi facinorosi a cui i presidenti, volenti o no, sono oggi costretti a dare sempre più retta. Senza scordarci che lo stadio di Marassi è attualmente in deroga, con condizioni di sicurezza non a norma: tutti tacciono e si gioca lo stesso perché il danno economico per il calcio genovese sarebbe eccessivo.
 
Questione di soldi? «Negli ultimi 2 anni – si giustifica Preziosi – ci ho messo 44 milioni per ripianare le perdite, ma i tifosi si sentono padroni e vengono all'allenamento della squadra a prendere a schiaffi i giocatori». Ovvero: “io pago, non basta?” A fine serata dà ragione ai tifosi che non accettano che la loro squadra retroceda in B ed esonera l'allenatore: la sconfitta non è ammessa quando si sborsano tanti denari.
 
Ormai perdere non è più un risultato possibile: la partita di Genova dimostra che il risultato non viene accettato se non soddisfa. Perdere, vincere o pareggiare non sono più opzioni che vengono lasciate alle prestazioni delle squadre, ma devono essere precostituite. Come il bambino che rompe il giocattolo se non riesce a farlo funzionare come vuole: una volta si sculacciava. Oggi basta parlare per qualche giorno di grandi valori e di principi morali, come avvenuto dopo la morte del povero Morosini, e poi si può tornare all'arroganza ed alla violenza.
 
Milano, ore 19:00. Finale scudetto del volley. Macerata è sotto di due set contro Trentino Volley: la curva rossa dei tifosi di Macerata canta in coro: «Vi svegliate o no, vi svegliate sì o no?». Savani e compagni si svegliano. Arrivano al quinto set. Al punto decisivo Trentino Volley attacca, Kazinsky schiaccia sulla riga: la palla è buona, ma gli arbitri la giudicano fuori. Giocatori e tifosi di Macerata fanno festa: i trentini si scuciono lo scudetto dal petto, senza recriminare, senza lanciare fumogeni, senza gettare le maglie, senza sfidare le forze dell'ordine (che erano lì sono per rappresentanza): questione di cultura. La domenica sembra in parte riscattata. Invece…
 
Torino: ore 22:30. La Juve batte la Roma 4 a 0. Lichtsteiner, giocatore della Juve, rivolto alla curva dei tifosi romanisti, con le dita fa il gesto “quatto a zero”, memore, lui ex laziale, del gesto analogo che Totti aveva fatto ai laziali quando la Roma vinse 4 a 0. Lamela, giocatore argentino della Roma, passa accanto a Lichtsteiner e gli sputa: questione di mancanza di cultura. E di educazione.

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