Questione di Feeling

Spazio ridotto, per questo numero. Ma sufficiente per raccontarvi di una band, e di un disco, pubblicato già da qualche mese fa, e ingiustamente snobbato da molti. I Feeling sono cinque ragazzi londinesi, e Twelve stops and go (Universal) è un esordio da non sottovalutare. Certo, la teoria che il pop sia solo il chewing-gum della musica, trova ogni giorno nuove imbarazzanti conferme, ma talvolta può anche capitare d’incappare in una sorprendente smentita. È il caso di questo disco, dove tutto ha le apparenze dell’evanescenza poppettara, epperò tutt’altra sostanza. La dozzina di brani che lo compongono, infatti, irradiano sì freschezza e levità da ogni solco, ma nel contempo celano prelibatezze, eleganze, e guizzi creativi che rimandano ai più grandi maestri di quest’ambito, siano essi Cole Porter o i Beatles. E non pensate che fare del buon easy listening sia un’impresa da poco, o comunque più semplice di qualunque altro cimento sonoro. Che il quintetto sia assolutamente e inconfondibilmente inglese lo si evince dalle prime note: il gusto melodico e le architetture vocali sono di chiara matrice beatlesiana, la spuma che esonda dagli arrangiamenti rimanda ai 10CC e ai Supertramp, e qua e là affiorano anche richiami a certa grandeur capace d’arrivare fin sulle soglie del kitsch senza mai oltrepassarle (vedi Queen o Divine Comedy). Sicuramente Dan Gillespie a soci han ben assimilato anche le lezioni dei grandi del musical anglo-americano, da Irwin Berlin a Andrew Lloyd Webber. Parentele importanti ed ingombranti dunque, che i cinque provano a dribblare con l’aria sbarazzina e vagamente sbruffona di chi sa di non aver inventato nulla, ma non per questo s’accontenta di scimmiottare questo o quello. Per questo Twelve stops and go, oltre che godibilissimo, ci è così caro. Sta arrivando l’estate: se cercate qualcosa di davvero solare, ma di meno stupido di un tormentone balneare, buttateci l’orecchio. Con un unica avvertenza: potreste innamorarvene al punto da non riuscire più a farne a meno.

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