Questione di feeling

Riscoprire le ragioni e gli ideali dell’adozione in tempi di crisi economica.
Bambini

«Questione di feeling», recitava una canzone di Riccardo Cocciante. Quando si parla di sostegno a distanza o adozioni internazionali si pensa spesso solo a una questione di cuore e di buoni sentimenti. Eppure, la crisi economica che stiamo attraversando mette in evidenza soprattutto delle buone ragioni per continuare a essere solidali con chi è meno fortunato di noi. In un recente studio della Commissione per le adozioni internazionali si evidenzia in modo chiaro come il numero delle richieste di adozioni sia in costante diminuzione, sin dal 2004 per le adozioni internazionali, e sin dal 2006 per quelle nazionali. Un calo che supera, in entrambi i casi, il 30 per cento. La situazione è grave perché il dato tendenziale, cioè se le richieste continuano a decrescere con questo andamento, porterebbe in soli dieci anni alla totale scomparsa delle domande di adozione.

 

Il dato statistico non ha, però, inciso sulle adozioni reali che sono in costante aumento tanto che si registra, nel primo semestre del 2011, un più 15,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010. Sono i frutti della semina abbondante degli ultimi anni.

 

E l’Italia resta ancora il primo Paese in Europa per numero assoluto di adozioni e il secondo al mondo dopo gli Stati Uniti. Nonostante ciò c’è chi lancia un fondato grido d’allarme: «Occorre guardare avanti – sostiene Marco Griffini, presidente Aibi –, perché tutto il processo di ottenimento dell’idoneità è fondato sulla selezione e radicato su una cultura che tende a scoraggiare le coppie. Occorre ritornare a spingere alla voglia del figlio».

 

Le coppie italiane sono, dunque, scoraggiate dalle lunghe attese, anche di anni, e gli infiniti colloqui, fino a 15, per ottenere la valutazione dei servizi sociali. Ed anche l’eccessiva burocratizzazione con cui è applicata la Convenzione de L’Aja del 1993, lo strumento che garantisce i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli, oggi non si giustifica più.

Ma il dato sul calo delle richieste di adozione può essere interpretato anche come «un segnale di maggiore consapevolezza – dichiara Rosa Rosnati, docente di Psicologia sociale all’università Cattolica di Milano – da parte delle coppie e delle sfide che pone il percorso adottivo».

 

I motivi del calo sono da ricercare sopratutto nella crisi economica, vista non solo come crisi finanziaria, ma come crisi di futuro, di mancanza di una prospettiva che invogli a investire in affetti e risorse su un figlio in più. Inoltre un’adozione internazionale, a seconda dell’associazione e dell’area geografica, ha ancora un costo ragguardevole e l’aiuto economico dello Stato dovrebbe essere maggiore.

 

La crisi morde anche sui numeri del sostegno a distanza compresi i grandi movimenti per la difesa dei diritti dei bambini, come il francese Terre des hommes, che sostiene 100 mila bambini in 22 Paesi. «L’anno era cominciato abbastanza bene fino a marzo – ci spiega Caterina Montaldo, responsabile del sostegno a distanza per Terre des hommes Italia –, ma si fa fatica a raccogliere nuove adesioni e c’è un calo del tre per cento».

 

Il calo del sostegno a distanza può, però, avere anche altre ragioni. Per molti potrebbe essere stata una scelta sentimentale, magari basata su campagne di comunicazione molto emotive che evidenziano, oggi, in tempi di crisi, la mancanza di radici profonde. «Dove, invece, c’è una scelta di vita – ci racconta Dania Tondini, responsabile del sostegno a distanza dell’Avsi –, ci sono risposte commoventi di gente che continua a tenere spalancati i propri orizzonti».

Il problema di una comunicazione efficace è stato affrontato da tempo anche da Action Aid, la più grande ong italiana con 180 mila adesioni al sostegno a distanza e «da tempo – ci dice Daniele Fusi di Action Aid–, abbiamo basato la nostra comunicazione sul fatto che il sostegno non è rivolto a un singolo bambino, ma all’intera comunità, con cui si mantiene un rapporto diretto; due volte l’anno, inoltre, si informa il sostenitore di come è utilizzata la sua donazione».

 

Resta il fatto che con l’equivalente di un bicchiere di latte al giorno (90 centesimi di euro) si riesce a fare molto, perché «sono proprio i bambini – dice Andrea Turatti, presidente di AFN – le vere vittime dell’attuale crisi finanziaria, che ha generato ingiustificati aumenti del costo della vita nei Paesi del Sud del mondo. E i nostri 102 progetti nel mondo avviano bambini e famiglie verso un futuro migliore e più dignitoso».

 

E ogni donazione non è solo per il pane, l’istruzione, la casa, ma in definitiva è un’occasione per far crescere una persona e una comunità con dentro il seme della solidarietà e della gratuità: il più grande investimento che possiamo fare.

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