“Questa è l’ora del pianto per le vittime delle guerre”

Dure le parole di papa Francesco sulla guerra e su quanti muoiono per la follia dei conflitti. C'è bisogno di passare dal fin troppo diffuso "me ne frego" al più umano e necessario "me ne importa", "mi sta a cuore". Una riflessione
Gorizia

Sabato papa Francesco ha celebrato l’eucaristia al sacrario di Redipuglia per ricordare i cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale. Il suo volto drammatico e sofferente portava il peso di un dolore indicibile: popoli cristiani che si sono combattuti, milioni di morti nel cuore dell’Europa.

Ha ripreso la formula di Benedetto XIV: "una inutile strage". Formula che ha qualche elemento di ambiguità, quasi che esistessero anche le stragi utili. Ma contiene anche il senso di una condanna assoluta della guerra senza sé e senza ma, oltre l’antica teologia della guerra. Una teologia nata con Agostino,quando la guerra era ben altra cosa, rispetto al moderno potere distruttivo delle armi.

Il papa riprende l’intuizione di papa Roncalli, che nella Pacem in terris: scrive “alienum est a ratione”, “è irrazionale pensare  che la guerra possa risarcire i diritti violati”. L’irrazionalità della guerra è l’altra faccia della sua follia. Si spezza cosi la teologia razionalistica della guerra, che ha giustificato un numero impossibile di guerre fino ad oggi.

Roncalli e papa Francesco non rimangono prigionieri del razionalismo dei principi di una antica ideologia, ma sanno riconoscere ed ascoltare il dolore delle vittime e ne percepiscono il magistero, dove la verità della vittima diventa la verità del vangelo, e la verità del vangelo diventa la verità delle vittima. Vangelo e vittima, che sono il volto del Signore, che è la pace, come dice l’apostolo.

In forza di questo ogni guerra, qualunque guerra, a qualunque titolo e con qualunque giustificazione, è una follia… Dice il papa: "mentre Dio porta vanti la sua creazione e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra come anticreazione e dunque come potenza demoniaca. La guerra stravolge tutto, anche i legami tra i fratelli. La guerra è folle: il suo piano di sviluppo è la distruzione, volersi sviluppare tramite la distruzione. La guerra ha il suo fondamento nella cupidigia, nella intolleranza e nella ambizione di potere".

C’è una pagina della Scrittura che, quando parla della guerra, papa Francesco pone dinanzi a sé ed è quella dell’uccisione di Abele da parte di Caino e il dialogo tra Caino e Dio. Dice Caino: "sono forse io il guardiano di mio fratello?”, negando cosi la fraternità.

Che importa a me di mio fratello! Il papa ha molto insistito su questo e sono risuonate le parole di don Milani nella lettera ai giudici: «su una parete della nostra scuola c’è scritto in grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: "me ne importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista “me ne frego”».

Il “che importa a me?" uccide la fraternità, è l’esatto contrario. Sta lì la radice di ogni guerra, la radice culturale e spirituale di ogni guerra… Da una parte la via della guerra  e della cultura del “me ne frego” e del “che importa a me?”, dall’altra la via della fraternità: la via di Gesù, che si rende visibile nel più piccolo dei fratelli, nell’affamato, nell’assetato, nel forestiero, nell’ammalato, nel carcerato.

Non una fraternità di sangue o di potere o di appartenenza, ma fraternità a partire dal più piccolo, dal più debole, dalla vittima della guerra, di ogni guerra e di tutte le guerre. È questa fraternità che genera il pianto, il lutto e il dolore di fronte a tutte le vittime. Nel pianto, nel lutto e nel dolore sta lo sguardo di verità verso le vittime di ieri e di oggi.

Per rimanere alla storia italiana, pensiamo alla stragi di sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto, di cui ricorre il settantesimo anniversario in questi giorni. Ma non possiamo dimenticare Hiroshima e Nagasaki con la bomba atomica.

E il papa si pone la domanda: perchè ancora oggi così tante vittime? La risposta è netta: "Perché oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani, geopolitica, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi,che sembra essere così tanto importante. E questi pianificatori del terrore ,questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: "a me che importa?”.

È una analisi spietata, che mette con le spalle al muro chi oggi ritiene di avere in mano le sorti del mondo. La strada per uscire da questa tragedia senza fine, da questa terza guerra mondiale a pezzi, non è più potere, ma più conversione e più pianto.

Dice il papa: "con cuore di figlio, di fratello e di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare dal "a me che me ne importa?" al pianto. Per tutti i caduti dell’inutile strage, per tute le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere e questa è l’ora del pianto".

Dunque il dono della  conversione genera il pianto dei fratelli. Il pianto nasce dal farsi carico del dolore dei fratelli e al tempo stesso purifica il nostro sguardo. Le lacrime cancellano il veleno della inimicizia .Gli occhi, lavati dalle lacrime, riacquistano la vista di Dio.

Questo nuovo sguardo, che Dio ci dona, ci permette di comprendere che il vero realismo è quello del vangelo, non quello della guerra, che il vangelo nella sua nudità – e non i principi del mondo – cambia la storia, che il tempo della guerra è già cancellato dal tempo del perdono. Il vero problema dei cristiani di oggi non è la persecuzione, ma il loro vergognarsi del vangelo, il loro arrossire della parola di Gesu.

Dice l’angelo alla chiesa di Laodicea, alla settima e ultima chiesa dell’apocalisse, alla nostra chiesa: "ti consiglio di comperare da me (…) collirio per ungerti gli occhi e riacquistare la vista” (Ap.3,18). Ecco il collirio di Dio, di cui abbiamo bisogno, il collirio della fraternità e della pace, il collirio delle vittime.  

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