Quell’unità del sapere

C’è la diffusa sensazione – non solo tra esperti – che qualcosa si stia inceppando nei nostri modi di conoscere e di pensare: sovraccarichi di informazioni, stretti tra molteplicità di dati, nessun tempo per rimettere in ordine e per riflettere. Un sapere, alla fine, chiuso in una specie di ignoranza specializzata, che pretende di discorrere su tutto, senza conoscere veramente alcunché. Solo frammenti. A cui mancano i nessi, quei ponti e quelle coordinate che permetterebbero di collegare e di collegarsi. In definitiva, di innalzarsi, di intra-vedere, di spingersi oltre. Un problema drammatico per la cultura d’oggi, che interpella prima di tutto l’educazione: giovani lasciati troppo soli a gestire vaste quantità di informazioni. Questione che investe non solo la conoscenza empirica, ma un sapere più ampio, d’interconnessione tra cultura scientifica e umanistica, intimamente legato a problemi di natura etica, di scelta e di utilizzazione delle conoscenze. È urgente riscoprire l’unità del sapere e contrastare la tendenza alla frammentazione e all’assenza di comunicazione, come accade spesso nelle nostre scuole!. Così papa Benedetto XVI nel discorso ai docenti universitari europei riuniti a Roma alla fine di giugno. Perché, come ha ribadito anche Edgar Morin, figura di spicco nel campo della sociologia dell’educazione, l’iperspecializzazione impedisce il necessario dialogo tra i saperi; serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato. Morin, recentemente invitato a esporre una prospettiva per la scuola italiana del futuro, ha affermato che è necessaria una riforma della conoscenza e del pensiero, un nuovo umanesimo globale che sappia affrontare i temi della persona e del pianeta. Per cui, la domanda drammaticamente attuale non è solo Come imparare a pensare?, ma soprattutto Come collegare pensiero e vita?. Un capovolgimento di quell’ottica con cui spesso la scuola guarda all’insegnamento come semplice trasmissione di conoscenze. Occorre che la Scuola diventi sempre più comunità, laboratorio di cultura, di dialogo tra maestri e allievi. È il miglior modo anche per stimolare la vera intelligenza, che tale è se in connessione, intessuta di continui scambi. È un diritto vitale per i nostri giovani. Lo richiede soprattutto quell’umanesimo rinnovato, secondo cui insegnare è possibile solo se ci si pone nell’ottica di aver ancora qualcosa da imparare insieme. Qui sta la vera sfida alla nostra autorevolezza educativa.

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