Quelle parole che feriscono…

Le parole possono far male. Ma forse è ancor peggio reprimerle. Intervista alla psicologa Antonella Spanò

Certe volte le discussioni prendono una piega non-buona. E volano, se non piatti, frasi infelici. Basta una parola di troppo a scatenare ceffoni verbali anche da quasi perfetti sconosciuti. E per cosa? Una discussione che magari poteva essere risolta all’origine. Ne abbiamo parlato con la psicologa Antonella Spanò.

Le brutte parole possono ferire l’anima?
Le ingiurie, le parolacce sono il modo attraverso il quale vogliamo sopraffare l’altro, ammutolirlo e possono ferire tanto quanto le pallottole. Immaginiamo di avere una tavola di legno nella quale piantiamo dei grossi chiodi; ogni chiodo penetrerà nel legno lasciando un segno indelebile. Allo stesso modo le parole possono ferire e lasciare cicatrici profonde.

Come si formano le cicatrici più profonde in una coppia?
La relazione di coppia non è mai semplice, è una strada in salita perché ciascuno porta con sé uno zaino pesante fatto di fragilità, storie, legami familiari. Il malessere maggiore credo che parta non dal motivo che ha scatenato la crisi, ma da quanto siamo o non siamo disposti a volere conoscere e ad amare lo sconosciuto che è dentro di noi e lo sconosciuto che è nell’altro.

I figli, tanto desiderati e amati, spesso vedono il genitore come cuoco, tassista, realizzatore di sogni. E quelli di papà e mamma, che fine fanno? Come far comprendere ai ragazzi che occorre aiutarsi a vicenda, gareggiare per una felicità condivisa?
In una famiglia aiutarsi a vicenda è essenziale affinché nessuno si stanchi troppo o abbia la sensazione di essere usato. Quando i figli non sono partecipi della vita familiare dobbiamo chiederci: «Quanto mi sostituisco a loro ogni giorno? Quante volte intercetto il bisogno dei miei figli prima che questi me lo chiedano? È possibile che io non valorizzi quello che fanno?». Dopo avere risposto a queste domande posso provare a concordare con loro dei momenti durante la settimana dedicati alla pulizia e all’ordine, o spazi in cui anche loro si prendono cura di noi. Per dire infine anche qualche “no”.

Alzare la voce è da evitare? O è utile per buttar fuori il dolore, la frustrazione, la rabbia?
Alzare la voce ci aiuta a liberare la rabbia, la frustrazione. Tuttavia, dobbiamo sempre tenere conto della persona a cui rivolgiamo le nostre grida, dei suoi sentimenti.

Alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo hanno parlato di sei tipologie diverse di urla: paura, dolore, rabbia, gioia, tristezza e piacere. La cosa sorprendente è stata che le urla più usate, nella ricerca, sono state quelle di gioia…
Lo studio ci ricorda che la nostra memoria è selettiva e che sceglie di ricordare prevalentemente le urla di gioia, forse per permetterci di dirigerci verso ciò che ci attrae. Forse dovremmo provare a ripassare nella memoria tutti i momenti felici che viviamo ogni giorno e magari dare meno peso a quelli negativi.

Come rimediare alle parole che feriscono?
Generalmente se un bambino ci dice che siamo brutti o stupidi probabilmente ci mettiamo a ridere, ma se le stesse identiche parole vengono dette da un adulto tutto cambia. Interroghiamoci sul perché quella parola mi ha ferita, cosa ha provocato in me? Quella ferita può essere una feritoia per crescere.

Come amare tutti, se siamo così diversi per indole, ideali e stili di vita?
Amare tutti è l’ideale a cui ciascuno dovrebbe aspirare. Possiamo provare ogni giorno, e sbagliare, chiedere scusa, riprovare, momento per momento.

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