Quel viaggio a OUAGA

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Come sta Gastien?. La domanda ricorre spontanea tra i vicini di casa, nel popoloso quartiere Prenestino dove abita, ospite da alcuni mesi con la mamma Madeleine di una famiglia romana. Qui tutti ormai lo conoscono. Lo incrociano spesso in braccio a nonna Paola o a nonno Oreste, sulla via dell’andata o del ritorno dall’ospedale che l’ha in cura. Ma lui non sa di essere al centro di tante preoccupazioni. Come tutti i bambini della sua età (ha 16 mesi), è molto curioso, e pare particolarmente attratto dai telefonini… forse perché dentro questi strani oggetti sente la voce del papà lontano, che lo aspetta in Burkina Faso. Del resto, è in questo quartiere romano che Gastien ha vissuto metà della sua breve vita. È qui che è arrivato l’ottobre scorso ancora lattante. È qui che ha imparato a camminare, a parlare, un po’ in francese e un po’ in romanesco. È qui che il suo braccino destro tutto ratttrappito, quasi un moncherino, sta acquistando lentamente e faticosamente funzionalità. Per il viaggio – dice Paola Siani -, grazie alla generosità di tanti amici, abbiamo raccolto la somma necessaria. Anche in tutti questi mesi è continuato questo aiuto, in pappe ed indumenti. Anzi è arrivato il di più a cui non avevamo pensato. Un’insegnante nostra coinquilina, ad esempio, si è offerta di insegnare a leggere e a scrivere a Madeleine, che così può corrispondere direttamente con suo marito. Noi lo informiamo inoltre di tutti i passi presso il centro missionario dei camilliani che si trova nella capitale del Burkina Faso. Perché tutto è nato lì, da un viaggio assieme a mia figlia Maria Chiara in quel paese africano. Paola aveva conosciuto una giovane del Burkina Faso nell’ospedale dove lavora. Era una novizia delle suore di San Camillo, venuta a Roma per un pellegrinaggio e finita in clinica per un improvviso malore. Era spaventata, impaurita, e così – ricorda Paola – ho cercato di farle coraggio prima che fosse portata in camera operatoria. Qualche giorno dopo è venuta a trovarmi. Voleva ringraziarmi, e dirmi di avermi sentito vicina come una mamma. È divenuto ancora più forte il nostro rapporto quando mi ha confidato di aver conosciuto i Focolari in Africa prima di farsi suora. E pur avendo perso i contatti con persone del movimento, aveva ancora viva nel cuore la fiamma di quell’ideale dell’unità. Da allora, è inutile dirlo, Paola e suor Sophie non si perdono più di vista. L’ho rivista a Roma – continua Paola – il giorno della sua professione religiosa. Era stata inviata in Burkina Faso come responsabile di una scuola professionale femminile. Ed avendo intuito il suo grande desiderio di far conoscere ed amare la mamma di Gesù alle ragazze che le erano affidate, le abbiamo portato come dono una statua della Madonna. Passano due anni. La corrispondenza si fa intensa anche con le altre suore della sua comunità. Era desiderio di tutte costruire per questa statua una grotta che richiami quella di Lourdes, e così si è dato il via alla costruzione, che si sarebbe inaugurata l’11 febbraio 2003, proprio nell’anno mariano. Mi è giunto l’invito a parteciparvi. Non potevo mancare, tutti mi aspettavano. Destinazione Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Un nome così complicato che i suoi stessi abitanti la chiamano Ouaga. Ad attenderle all’aeroporto c’è suor Sophie con la sua comunità, al gran completo. In mezzo ad una fantasmagoria di luci, colori e suoni, ho scorto in lontananza una croce rossa che spiccava su un abito bianco. Ho riconosciuto il volto di suor Bernarda, una lombarda minuta, ma forte come un leone, da trent’anni in Burkina Faso. La sua croce non era più di un rosso vivo, e sulla veste bianca, lisa, ho scorto il paié, il tipico abito delle donne burkinabé. Tutto è nuovo per Paola e Maria Chiara, che hanno modo di apprezzare l’opera che le suore e i religiosi camilliani svolgono in questa terra d’Africa così provata, sostenendo e dando speranza a tutti. Ho condiviso con loro – prosegue Paola – la vita quotidiana della missione. Dopo la messa, tutte le mattine alle 5,30, ero al loro fianco nel dispensario dove si snodava la folla di mamme e bambini che senza sosta bussavano in continuazione. Le due donne sono affascinate dalla bellezza dei posti, dal calore e dall’accoglienza delle persone: Ciò che maggiormente ci sorprendeva però era la grande dignità della gente, anche di chi era povero, solo e malato. Per la mancanza di luce elettrica nelle case perfino della capitale, i giovani studenti escono la sera per trovare un luogo illuminato dai lampioni. Nel centro missionario un locale è stato attrezzato per i giovani che non potevano studiare a casa propria. Anche la luce, pur fioca, che illuminava la grotta, incoronata di stelle splendenti, serviva alle ragazze della scuola accanto per leggere e scrivere. Il giorno dell’inaugurazione, Paola e Maria Chiara sono al centro di una festa calorosa. Per essere presente, Marijò, una focolarina brasiliana che da 17 anni vive in Africa, ha dovuto affrontare un lungo viaggio in un pullman sgangherato. Grazie anche alla testimonianza di suor Sophie, l’ideale dell’unità sta penetrando con mia grande gioia tra questa gente. Quella sera, dopo la giornata della festa, Paola si trova finalmente a riposare in una cameretta della missione. È stanca, ma non riesce a prendere sonno. Nel silenzio della notte, avverte dentro di sé un senso di impotenza, di dolore. Non sente più la gioia che l’aveva pervasa durante la giornata. Cosa sei venuta a fare in Africa, cosa volevi portare qui?, mi chiedevo. Di fronte ai mille bisogni di quella gente, hai fatto ben poco, appena una goccia in un oceano. Mi sono ricordata in quel momento della Parola di vita del mese, che diceva: Ascoltare quella voce. È stato come se qualcuno mi invitasse ad ascoltare, a prestare cuore ed orecchie a quella Madonnina che avevo portato in dono dall’Italia. Mi è tornato alla memoria quel padre disperato, alto e pieno di vita, che stringeva tra le braccia il suo primogenito nato col braccino rattrappito. Ne parla con sua figlia, e su due piedi decidono l’adozione a distanza: porteranno intanto in Italia le foto del braccio malato, poi si vedrà. Maria Chiara, dal canto suo, pensa di adottare Christelle, una bimba di cinque anni che ogni giorno viene al dispensario per assicurarsi almeno un pasto. Non contenta, si mette in contatto telefonico con le amiche, che a giro di sms aderiscono con entusiasmo alla sua proposta di adottare un bambino burkinabé. Tornate in Italia, la catena delle adozioni a distanza si allarga, coinvolgendo parenti, colleghi di lavoro, parrocchiani, vicini di casa. Complice anche il piccolo Gastien.

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