Quel rosa che appare al crepuscolo

Terza domenica di giugno. Sto bevendo un cappuccino al bar e vedo altri clienti che dirigono il loro sguardo interessato fuori dal finestrone. Gente in costume tradizionale di prima mattina si sta dirigendo verso la piazzola della chiesa. Dopo qualche tempo sento avanzare la musica di una banda. Esco dal bar e cerco un posto per vedere meglio. Mi appoggio al muricciolo che circonda il cimitero attorno alla chiesa e vedo farsi avanti, a passo cadenzato, statue diverse portate da ragazze, da donne sposate, da anziani, da giovani che ondeggiano su un corteo coloratissimo. Sono statue di Gesù che mostra il suo cuore, di Maria, di san Giuseppe e di sant’Anna che appaiono e scompaiono dietro grandi gonfaloni di varia fattura. Al suono della banda che invade il silenzio delle lapidi mi rendo conto che il confine tra vivi e morti è trasparente. La processione ha richiamato dalle case tutti gli abitanti, accorsi con gli abiti della festa, ma anche i primi turisti della bassa stagione equipaggiati di videocamere e apparecchi fotografici. Le ragazze che aprono il corteo non portano gli stessi costumi delle maritate e non hanno più quello delle adolescenti. I giovani non hanno gli stessi abiti degli uomini sposati all’ombra del loro gonfalone verde. I bambini e le bambine della prima comunione portano la statua di Gesù Bambino. Altre volte, mi dicono, c’è anche l’Angelo custode portato dai cresimandi. Ogni gruppo sociale porta a spalla la propria statua e l’alto gonfalone o stendardo che, al vento, è difficile tenere diritti.Ogni stagione della vita ha la sua divisa. Il colore del vestito, il cappello o l’ornamento sul capo parlano dell’età. La banda, con le sue marce, unifica tutti nell’unica festa. La processione si ferma due volte ed ogni volta in tutta la valle tirolese rimbomba un forte colpo. Questi botti, i pölleri, per antica tradizione vengono sparati come sveglia al mattino e alla lettura dei due brani del Vangelo in questa festa del Cuore di Gesù. Tutta la processione mi è sfilata davanti e mi accorgo che la bellezza dei costumi mi resta nella memoria anche durante una passeggiata lungo un sentiero tematico che mi racconta miti e leggende dei monti di questa lunga valle, mi presenta guerrieri e fate, principesse e uomini selvaggi. Non mancano regine delle nevi, marmotte e i monti di cristallo delle memorie dolomitiche. Ma anche i fiori, le rocce, i laghi e il vento mi ricordano i colori armonici dei costumi. Sui pendii di questi Monti Pallidi, che al crepuscolo si tingono fugacemente di un rosa indescrivibile, ora nel preludio della notte, vedo accendersi tanti falò. Chiedo informazioni alla mamma di una famigliola che come me sta guardando. La donna si rivolge al marito, che porta sulle spalle il più piccolo, perché mi risponda. Lei non parla italiano. Lui mi racconta di Catarina Lanz, nuova pucelle d’Orléans, che in testa a contadini spronati dal suo coraggio, armati come lei di forca, era riuscita a far indietreggiare nel 1797 i soldati delle truppe napoleoniche che stavano per assediare la valle della Ladinia. Questi fuochi sono un vo- to fatto nel 1809 quando tutto il Tirolo fu consacrato al Cuore di Gesù e ogni anno, i giovani del posto avvezzi alle scalate, salgono sulle montagne e, accendendo un falò dopo l’altro, disegnano con fuoco la perfetta sagoma del cuore. La promessa è mantenuta. A varie altezze e di grandezze diverse, molti cuori vincono il buio della notte che avanza. Estraggo dallo zaino la macchina fotografica. Inutile – mi dice un uomo alto e abbronzato che segue con sacralità le fiaccole che prendono vigore -, le foto non riescono. E poi, anche se riuscissero, come fissare il significato di questi falò?. Mentre mi parla, mi accorgo che i suoi capelli sono talmente bianchi da splendere. Ascolto quello che dice: Comprendere una tradizione è difficile da capire come la bellezza di queste montagne, fatte da sedimentazioni di conchiglie e coralli, continuamente cangianti ai raggi del sole, che ci lascia senza parole. Quello che sta sotto di noi, le grotte e i fiumi sotterranei che le formano, è più spettacolare ancora. Ha nutrito per millenni miti e leggende. Non esiste una grammatica che spieghi la mescolanza di questi misteri con odori, sentimenti, sensazioni, gusti, parole, silenzi o la solenne sacralità creata da gesti che rimandano a chissà chi e cosa. Come descrivere l’inafferrabile senso di grata contemplazione che invade l’anima in certi momenti della vita? Questa sensazione indescrivibile è come l’enrosadira, quel rosa che appare brevemente al crepuscolo. Mi parla poi delle folle di visitatori che estate e inverno invadono la valle, fonte di benessere assieme alla pastorizia e all’artigianato. Sorride sicuro quando afferma che la tradizione impressa nell’animo del popolo è dura e misteriosa come le montagne. Si fa serio quando mi dice che certi turisti è come se restassero alla vetrina del villaggio, notano ciò che non è usuale per loro e vorrebbero appropriarsene e portarlo via come un souvenir da bancarella. Le biblioteche di tutto il mondo traboccano di diari di viaggio, un insieme di curiosità, consuetudini e credenze raccolte da qualcuno. Ma chi sa vedere? – si chiede il mio interlocutore -. Una cultura è come una scultura lavorata dalle mani del tempo, perfezionata dalle emozioni, cesellata da risate e lacrime, da rabbie e sconfitte e, come tale, non si può riprodurre né spiegare. Ai monti ormai senza orlo, confusi nel nero del cielo che ha finito di fare da sfondo, sono rimasti soltanto dei cuori di fuoco. Il discorso va a finire sul beato Giuseppe Freinademetz, dalla vicina Val Badia, missionario. Lasciata la sua terra, era andato in Cina per fare dono ad altri della fede. Si sa che per i cinesi divenne uno di loro. Questo amore verso gli altri, dimostrato con la vita di anni e anni, lo ha elevato a modello di carità evangelica. Come ha fatto un ladino che non era mai uscito dalla sua valle a diventare cinese tra i cinesi? A questa domanda c’è solo una risposta: il messaggio di Gesù che è tutto incentrato sull’amore verso tutti. Il regno che Gesù annunzia non è altro che un modo di considerare il prossimo quindi, come lui afferma, è già in mezzo agli uomini. Restiamo in silenzio a guardare i cuori di fuoco che sembrano accesi per sempre. Il fiero montanaro ladino interviene: Talvolta penso di essere un venditore di bellezza. Ieri ho finito di mettere sui davanzali i gerani e mi sono chiesto per chi sto preparando la bellezza. Per me? Per il villaggio? Per chi viene qui per la prima volta o per chi ritorna? Non lo so. La bellezza è gratuita come il sole, la pioggia e le montagne. È stata questa gratuità che mi ha insegnato a ringraziare e soprattutto a donare con gioia. Vorrei lasciare ai miei nipoti non solo la capacità di stupirsi davanti all’enrosadira ma anche la gioia di saper dire grazie!. Tornando all’albergo che mi ospita, la strada dov’è passata la processione, dove cammineranno i nipoti del montanaro ladino, mi sembra l’unica strada percorribile. Avere cuore per l’altro, ogni altro che incontro sulla mia via è la scorciatoia più rapida per cancellare distanze e confini.

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