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Persona e famiglia > Università

Quel pasticciaccio brutto del “semestre filtro”

di Chiara Andreola

- Fonte: Città Nuova

I tre esami che avrebbero dovuto selezionare gli aspiranti medici sono stati sottoposti a critiche da più parti. Ma c’è un altro aspetto da considerare: non hanno eliminato il problema di quello che la ministra Bernini aveva definito «lo squallido mercato della formazione ai test di Medicina»

Studenti affrontano l’esame di Medicina presso il Lingotto, Torino, 20 novembre 2025. ANSA/Alessandro Di Marco

La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, lo aveva dichiarato nella conferenza stampa di presentazione della riforma che ha portato a sostituire il tanto criticato test d’ingresso alla facoltà di Medicina e Chirurgia con un “semestre filtro” (poi diventato nei fatti poco più di un bimestre, da settembre a fine novembre), al termine del quale solo chi avrebbe passato i tre esami uguali per tutti di Chimica, Fisica e Biologia avrebbe proseguito: «Abbiamo eliminato lo squallido mercato della formazione ai test di Medicina».

Il riferimento era all’ormai molto fiorente attività (anche 60 euro l’ora se con insegnante privato, altrimenti con pacchetti di corsi online dai costi anche superiori ai 3-4000 euro) delle lezioni per prepararsi a superare il tanto temuto “quizzone”, a più riprese bollato di inadeguatezza nel selezionare i futuri medici. Affidando la preparazione dei tre esami direttamente ai docenti universitari tramite i loro corsi, era il ragionamento, si sarebbe quindi posto fine a tutto questo.

In realtà, le cose non sono esattamente andate così. Sin dall’inizio dei corsi è infatti apparso chiaro a molti ciò che poi è stato indicato come una delle cause del “fallimento” dei tre esami da parte di percentuali elevatissime di studenti (anche il 90% per Fisica): essendo i due appelli d’esame fissati tra fine novembre e inizio dicembre, le lezioni dovevano per forza di cose essere concentrate in poco più di due mesi, con ritmi serrati e spesso in condizioni non ideali (modalità mista remoto-presenza, aule sovraffollate o viceversa vuote perché tutti seguivano da casa, studenti che nell’incertezza di essere o meno ammessi si sobbarcavano lunghe trasferte per non dover prendere casa nella città dell’ateneo). Non parliamo poi del fatto che, come diverse ricerche hanno dimostrato, la preparazione ricevuta alle scuole superiori può presentare differenze anche molto significative non solo tra le diverse zone d’Italia, ma anche tra i diversi istituti. Facile quindi capire come molti si siano trovati in difficoltà.

Bastava quindi fare un giro sui social – e più in generale sul web – già nel corso di quei due mesi per vedere come fiorissero le offerte di corsi per preparare questi tre esami di Chimica, Fisica e Biologia, e anche per acquisire le competenze necessarie ad affrontare in 45 minuti un test da 30 domande – altra cosa in effetti non scontata. I prezzi sono, come prevedibile, comparabili a quelli del vecchio test, con tanto di possibilità di pagare in comode rate.

Poi sono arrivati questi famigerati esami, con percentuali di promossi che hanno fatto sembrare il terribile esame coreano di ammissione all’università una passeggiata in confronto a questi. A quel punto si è detto un po’ di tutto: studenti impreparati che manco sanno quanti litri ci sono in un decimetro cubo o qual è la formula chimica del sale da cucina (che in effetti erano due domande presenti nei test), la scuola superiore non prepara più, no ma in effetti c’erano anche domande più difficili che mai avrebbero potuto essere svolte in così poco tempo, no ma il problema è stato che il programma di sei mesi è stato concentrato in due, è stato un fallimento del sistema e non dei ragazzi, gli studenti erano troppo sotto pressione, ok ma in ogni caso non è così che si possono selezionare i futuri medici, e via dicendo.

Come se non fosse bastato, ha fatto scalpore uno studio firmato da otto docenti piemontesi che, per capire se il vecchio test davvero funzionasse nel selezionare i migliori, ha messo a confronto i risultati ottenuti in Piemonte negli anni passati da chi era entrato a Medicina passando il test, e chi invece in seguito a ricorso o ripescaggio pur non avendolo superato: è risultato che i primi avevano una media dei voti del 26,5 contro il 24,5 dei secondi, e soprattutto che circa la metà dei primi risultava in regola con gli esami alla fine del primo anno, contro uno su cinque dei secondi. Insomma, il vecchio test sembrava essere in grado di selezionare quantomeno chi avrebbe ottenuto migliori risultati dal punto di vista accademico – pur con tutti i limiti dovuti al fatto che si è limitato ad analizzare una sola Regione.

A fronte del fatto che il numero di studenti che hanno passato tutti e tre gli esami è (con tutta probabilità: i risultati verranno ufficializzati il 23 dicembre) inferiore al numero di posti disponibili, la ministra Bernini ha ipotizzato di aprire anche a chi ne ha passati solo due o uno, dando tempo fino a febbraio (quando effettivamente termina il semestre) per recuperare: ed ecco quindi fiorire di nuovo gli annunci di corsi ad hocNon solo: a fronte del discredito che è stato di fatto gettato sul “semestre filtro”, alcune università private sono passate al contrattacco: pubblicizzando il fatto che loro invece hanno mantenuto il vecchio test, con possibilità di farlo già in quarta superiore ed eventualmente ripeterlo in quinta, e con la libertà di avere poi il posto assicurato e godersi le ferie una volta fatta la maturità. Prospettiva che in effetti, alla luce di quanto accaduto, adesso può apparire allettante – retta universitaria permettendo.

Naturalmente il dibattito sulla bontà o meno di questo nuovo sistema di selezione è ancora in corso, tanto più che la vicenda non è chiusa e che la ministra Bernini ha già annunciato “aggiustamenti” del modello (anche se non è ancora stato definito quali); ma che non abbia eliminato «lo squallido mercato della formazione ai test di Medicina», questo appare un dato di fatto.

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