Quel giro in pedalò

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Primo agosto 2001. In una festa di colori, il sole al tramonto si sta immergendo nel mare, ed i suoi raggi radenti ancora scaldano una panchina. È quello il luogo consueto dell’appuntamento serale per Roberto ed i suoi amici, i “Ragazzi dell’interno 4”, nome che hanno preso in prestito dell’insegna pubblicitaria del negozio di fronte. Ma quella sera, un insolito silenzio grava sul gruppo, reso attonito da una notizia che li ha sconvolti: tuffandosi nel lago di Bracciano, Roberto è scomparso in un gorgo. Ora lo stanno cercando. Pare impossibile. Solo qualche ora prima, dopo pranzo, lo avevano incrociato mentre con Manila, la sua ragazza ospite a Ladispoli per qualche giorno, si aggirava in motorino col progetto di portarla a fare un giro in pedalò. Durante le vacanze estive, si era trovato un lavoro come barista, ed aveva appena riscosso la sua prima paga. Quel giro in pedalò che lui era orgoglioso di offrirle, e che lei aveva tanto desiderato, era un po’ il simbolo di un traguardo appena raggiunto e dell’affetto che stava crescendo tra loro. Non ne avevano trovato uno disponibile lungo tutto il litorale; i ragazzi non si erano arresi, e perciò avevano deciso all’ultimo momento di scovarlo… persino a Bracciano. Ora gli amici aspettavano, con la segreta speranza che l’amico, da tutti affettuosamente chiamato Mangusta per quel suo modo sornione di socchiudere gli occhi dietro le lenti, sarebbe arrivato, come spesso faceva, portando da casa, assieme a posate e piatti di plastica, un capace tegame fumante di pasta “ajo, ojo e peperoncino”, preparata da mamma Franca. Una ghiottoneria per la loro voracità di adolescenti, ed una manna per le loro tasche, solitamente “al verde”. Roberto talvolta capitava lì e si rendeva conto che i suoi amici avevano tanta fame e pochi soldi. Così provvedeva. Mangiavano insieme, parlando e scherzando sino a notte inoltrata, seduti stretti sulla panchina, sotto i raggi discreti della luna. Quella sera, l’attesa sarà vana. Per due giorni quello specchio di lago in cui era scomparso il ragazzo sarà battuto inutilmente. Solo il 3 agosto il corpo potrà essere recuperato. La ragazza, invece, si salva. Accorre un surfista di passaggio, attirato da un corpo che aveva visto sollevarsi tra le onde, come avesse ricevuto una decisa spinta verso l’alto. Quante volte mamma Franca e papà Michele avrebbero ascoltato dalla viva voce di Manila quegli ultimi, terribili istanti in cui si era consumata la tragedia. Usciti al largo per un giro sul pattino, si leva un forte vento. Forse per il caldo Roberto decide di buttarsi. Ma qualcosa non va per il suo verso. L’acqua gelida lo blocca, e la situazione precipita: il distacco dal pattino allontanato dal vento contrario, l’inutile lancio del salvagente, Manila che lo raggiunge in acqua per cercare di aiutarlo. Insieme iniziano ad andare su e giù, cercando di tenersi a galla, mentre il pattino si allontana sempre di più. Ed ecco, contro il naturale istinto di sopravvivenza, l’ultimo gesto d’amore: Roberto bacia Manila e la sospinge verso la superficie, giusto in tempo per essere strappata dalle acque dal velista accorso, malgrado lei si dibattesse per raggiungere il ragazzo. Una famiglia del tutto normale, quella in cui Roberto è cresciuto, ultimo di tre fratelli: Barbara, già sposata con due figli, e Andrea, di dieci anni maggiore. “Nato a distanza di tanti anni dagli altri due, Roberto – racconta la mamma – era un ragazzo come tanti, giocherellone ed un po’ caparbio, fantasioso e allo stesso tempo con i piedi ben piantati per terra; tanto che, malgrado le varie vicende tipiche di un adolescente, aveva cominciato a smussare molti spigoli, e stava iniziando a venir fuori dal suo guscio. Cominciava a fare progetti per il suo futuro, desiderando un lavoro come ingegnere ed una famiglia con Manila”. Papà Michele, capocantiere in un’impresa di impianti elettrici, è spesso fuori per lavoro. Mamma Franca vigila sulla famiglia, in modo particolare su quel ragazzo pieno di vita, che ogni giorno si reca a Roma per frequentare un istituto tecnico industriale, e che da un anno ha iniziato un rapporto con una coetanea. “Siamo sposati da 31 anni, ed una ventina d’anni fa – prosegue Franca – abbiamo conosciuto i Focolari, cui abbiamo aderito da subito assieme ai ragazzi che man mano crescevano. In modo speciale Roberto, che aveva seguito il movimento fin da bambino. Il disegno di Dio su mio figlio era diverso da quello che lui immaginava, ed era giunto per me il momento di aderirvi, anche se mi sembrava allora assurdo ed incomprensibile. “Perché?”, mi chiedevo in continuazione durante quei due lunghi giorni di attesa, sotto il sole cocente in riva al lago, mentre i sommozzatori andavano e tornavano sconsolati, temendo di non poterne recuperare neanche il corpo. Le mie lacrime cadevano su quella tomba azzurra, mentre mi era di conforto solo il pensiero di un’altra Madre sotto la croce”. La notizia raggiunge Michele a Napoli, dove si trova per lavoro. “Come potrò dimenticare quei 300 chilometri di autostrada?”, dice. E, nel dolore di una perdita ancora così recente, parla di ciò che stanno ora vivendo. “Non saprei spiegare come, ma la perdita di Roberto non ci ha chiusi in noi stessi, ma ci ha allargato il cuore e l’anima su coloro che si sono avvicinati a noi. La nostra casa era piena di persone che venivano per consolarci, e se ne andavano consolate, così dicevano. Abbiamo sperimentato l’amore di Dio attraverso l’amore di tutti: a casa, durante l’attesa, non ci hanno mai lasciato soli. Spesso, aprendo la porta, trovavamo la colazione pronta, che degli amici lasciavano con discrezione, senza voler disturbare. Con il caldo che faceva in quel periodo, il primo dono arrivatoci è stato un ventilatore portato da una parrocchiana che conoscevamo appena”. Anche durante l’assenza dei genitori dal paese, a Roberto non mancano mai mancati i fiori. “Spesso incontriamo gruppi di giovani e di adulti che si soffermano davanti a lui, lasciando una piantina o una preghiera scritta. Qualcuno ha ammesso di doversi rimettere in discussione come cristiano”. Alcune mamme, che hanno perso dei figli, vogliono parlare con Franca per cercare di uscire dalla loro disperazione e trovare insieme un po’ di tranquillità. “Cerchiamo anche di mantenere vivo il rapporto con Manila e la sua famiglia. Con tutti questi frutti – dice ancora Michele – che la partenza di Roberto ha fatto fiorire, non possiamo non essere facilitati ad accettare il disegno di Dio”. Mi mostrano una frase della Scrittura che Roberto conservava tra le sue cose più care, tanto da farne un motto per la vita. Dice: “Chi ama il suo fratello dimora nella luce”. È stata, ci sembra di poter dire, la molla segreta che ha guidato tanti suoi passi, sino all’ultimo.

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