Quel «fuoco che mi aveva fatto essere tua Parola»

Una lettera inedita scritta da Chiara Lubich nel 1967 dopo l’incontro con i rappresentanti di cento Chiese diverse per il secondo appuntamento con Il libro La Parola di Dio per Città Nuova. Parole quanto mai attuali a pochi giorni da Assisi
La Parola di Dio

Era il 1967 e, a causa di alcuni problemi di salute, Chiara Lubich dovette posticipare alcuni suoi impegni. Decise allora di annotare tutti gli avvenimenti in un diario per condividere quanto viveva con i membri del Movimento dei focolari. E dal suo diario che estrapoliamo per il secondo appuntamtno con il libro La Parola di Dio di Città Nuova, una lettera datata 23 gennaio 1967. Due giorni prima Chiara si era recata a Canterbury, su invito del canonico anglicano Bernard Pawley, per prendere parte alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Un incontro importante e di alto valore soprattutto se oggi lo guardiamo in vista dell’appuntamento del 27 ottobre ad Assisi.

 

23 gennaio 1967

 

Sono tornata da Canterbury.

Grazie, Gesù, d’aver agito così. Sei stato così “grazia”

che ora sento che a qualunque cosa mi succedesse di doloroso

dovrei rispondere: «Non si può aver questo e quello».

Siamo partiti e l’aereo aveva necessità di correre più

del solito per il vento in poppa! Ci parve un simbolo, dopo

tanti ostacoli frapposti dalla mia salute, e ci parve un segno

della spinta formidabile provocata dal fiume di preghiere e

offerte, e quali offerte!

Mio Dio, guarda a loro ora. Ora che la Tua vita, la Tua

unità invocata ha fatto un nuovo passo, non lasciare impremiata

la sofferenza, specie di chi porta un male che non fa

sperare.

 

Alleggerisci i dolori, inonda di consolazioni quei cuori,

e guarisci, Gesù: sì, guarisci. Tu sei sempre Tu, il Medico

oltre che il Maestro e io a Te lo chiedo, a nome Tuo, per chi

e quelli che Tu sai e vuoi.

 

Se hanno dato che ricevano, già da questa vita. Essi

hanno capito quel che vale la Tua gloria! Il Tuo testamento.

Sii loro Fratello e Padre. Ma… credo, Signore… Credo al

Tuo amore per loro e per tutti quelli che ci hanno aiutato in

questa impresa.

 

Lassù, oltre un intricarsi di piccoli o meno piccoli mali

fisici, un senso d’agonia all’appressarsi all’ora! Oh! quell’ora,

quelle ore tre quanto le attesi e quanto le temetti. Agonia.

Vera “agonia” che Ti ho offerto, Signore, per quell’ora

– presto o tardi? – della mia definitiva agonia.

 

Poi, quand’era ora di parlare e l’impotenza m’aveva invasa,

un fuoco s’è sprigionato a riscaldare la chiesa, l’intera

chiesa in ascolto, a poco a poco, finché «non erano tanto

le tue parole o colui che traduceva che importava, quanto

l’effusione dello Spirito». Così [disse] il canonico Pawley,

che volle tradurmi in quell’ora, definita un successo, con un

applauso che voleva non terminare mai.

 

T’avevo pregato, Signore. Lo sentivo: il comportamento

che volevi da me non era solo quello dell’umiltà, ma del

fuoco e mi avevi fatto chiedere d’essere quella Tua parola

viva: «Fuoco sono venuto a portare sulla terra». E fuoco è

stato.

 

Così Tu, proprio Tu, Gesù, hai trionfato fra tutti quei

cuori delle più svariate denominazioni che Ti cercano e Ti

amano. E Tu hai unito in quell’ora i disuniti e hai fatto, della

supersplendida cittadella di Canterbury, una Mariapoli.

Chi ti sarà grato abbastanza?

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