Quei moderni cantastorie

Italia-Brasile 3-2 Vanta, ad oggi, trecentoventi repliche, ed è diventato uno spettacolo cult. Dura novanta minuti, il tempo di una partita di calcio. E di questa si parla in Italia-Germania 3-2, del giovane autore e attore palermitano Davide Enia. Abile contaminatore di lingua italiana e dialetto, appartiene a quella vitalissima ondata di nuovi affabulatori della nostra memoria collettiva. Talento in continua ascesa a cui il Piccolo Eliseo di Roma ha tributato, con grande successo, un omaggio con due suoi spettacoli. Novello puparo della parola, Enia compone un affresco epico collocando nella sfera del mito personaggi entrati nella leggenda calcistica: come Paolo Rossi, Zoff, Falcao, o Socrates. Quella memorabile partita del 5 luglio 1982 deve averla rivista infinite volte per poterla assimilare e ricavarne un testo teatrale che, con un avvincente incastro di umanissime storie, ci diverte e commuove, avvolgendoci col flusso musicale della sua oralità. Ne sortisce uno spaccato dell’Italia scandito dalla descrizione dei comportamenti della famiglia di Enia incollata, con l’aggiunta di parenti e amici, davanti al televisore per seguire il famoso match dei mondiali di Spagna. C’è lo zio che per scaramanzia indossa ad ogni partita sempre lo stesso abito non lavato; c’è l’amico che fuma le nazionali una dietro l’altra, pensando così di contribuire alla vittoria degli azzurri; o la madre che si emoziona davanti al bellissimo Cabrini. Enia descrive le azioni calcistiche – e le reazioni famigliari – con una narrazione serrata che, accompagnata da due musicisti dal vivo, si trasforma in immagini vive: una partitura ritmica dove, agli umori, frustrazioni, palpitazioni e idiosincrasie di un’umanità popolare, si intrecciano le vicende di alcuni giocatori. Come quella del brasiliano Garrincha. Nato in una favela, cresciuto zoppo per una poliomelite, ma, per la sua velocità, diventato un grande calciatore, fece notizia il suo rifiuto, dopo la vittoria del mondiale del ’58, di un sontuoso regalo offertogli dall’allora presidente del Brasile, al quale chiese invece di liberare dalla gabbia un uccellino: un garrincha. Morirà povero e alcolizzato, dimenticato su un marciapiede. Ed è un pugno allo stomaco la storia della invincibile Dinamo di Kiev, la squadra ucraina che si fece fucilare dai nazisti sul campo di calcio per aver vinto contro la squadra tedesca, trasgredendo l’ordine di perdere. Storie di calcio e di vita che si tramutano in uno sguardo compassionevole, lieve e ironico, sulle miserie dell’esistenza. Maggio ’43 Ma la capacità affabulatrice e drammaturgica di Enia che, per presenza mimica, grinta e voce riempie magnificamente la scena, mantiene ancora la leggerezza della composizione e dei toni anche nel trattare temi tragici. Come nelle schegge di guerra di Maggio ’43: l’odissea della sua famiglia sfollata da Palermo a Terrasini durante i bombardamenti, vista attraverso gli occhi ingenui di un dodicenne, Gioacchino, seduto davanti alla tomba del fratello maggiore, ascoltatore muto di tutto il racconto. Dalle memorie dei nonni Enia ha appreso cosa significò la fame, la lotta per la sopravvivenza fatta di mercato nero, le fughe dalla milizia fascista, la scomodità di una carriola come letto, la visione di Palermo distrutta. Dice molte altre cose ancora, con phatos doloroso, lieve, e al tempo stesso divertente, restituendoci, senza retorica, una sua visione del mondo e dell’uomo carica di speranza: quella di chi non vuol perdere la capacità di sognare mantenendo uno sguardo innocente. E chiude l’appassionato monologo con la filastrocca che Gioacchino fin dall’inizio ha cercato di ricordare, finalmente imparata. In tournée. N’gnanzoú Altro puparo, e pupo allo stesso tempo, è Vincenzo Pirrotta, attore siciliano impegnato in forme e linguaggi scenici contemporanei contaminati dalle radici popolari. Un lavoro di recupero che, mantenendo vivo il dialetto, riporta visioni, odori, suoni, legati ad un mondo ancestrale. In N’gnanzoú sono storie di mare, di sole e paesaggi mediterranei, tra miti e realtà, di una comunità di pescatori. Davanti ad una semplice tela disegnata da Emanuele Luzzati, due tonnarotti, nell’attesa del passaggio dei tonni, sgranano racconti di avventure e personaggi del loro universo facendo affiorare paure, fatiche e gioie del lavoro e della vita. Dall’evocazione di dei e di eroi mitici – Poseidone, Palinuro, Enea -, alle invocazioni a san Pietro; alle preghiere alla Madonna del mare trasportata in una evocativa processione su una barca in miniatura. Quindi Pirrotta snocciola una toccante storia dell’infanzia; si immedesima in quel perfetto pesce dalla pelle d’argento che, trafitto, domanda perché deve morire; manovra due pupi alla maniera del suo maestro cuntista Mimmo Cuticchio; rivive nel corpo di Giufà, innocente e maltrattato da tutti. Pirrotta grida, canta e duetta con una soprano, emette suoni, raggiunge il silenzio. Per esplodere, infine, con quella parola onomatopeica, N’gnanzoú, che dà il titolo allo spettacolo: ovvero l’urlo emesso dai pescatori nell’atto di ritirare le reti. Segno che inizia la mattanza

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