Quarta votazione per il Colle: è débâcle PD

Dopo Marini immolato anche Prodi sull’altare delle lotte intestine al Partito democratico, che sceglie il Parlamento come sede impropria per un informale congresso di partito. Rosy Bindi lascia la presidenza del Pd e Bersani annuncia le dimissioni dopo l'elezione del Capo dello Stato. Monti propone la Cancellieri
Il voto di Pierluigi Bersani per il Quirinale

Cambiamento di rotta Alle 8 e 15 minuti del mattino Bersani incontra i gruppi parlamentari del suo partito. Archiviata la ferita ancora aperta per la bocciatura della candidatura Marini, pare ritrovata l’unità del partito attorno alla proposta dei renziani del nome di Romano Prodi, che riscuote applausi e consensi (formalmente) unanimi fra i democratici. Una scelta che sembra segnare un cambiamento radicale di rotta riguardo al metodo fin qui seguito: da una strategia inclusiva volta a trovare condivisione anche nel centrodestra (come accaduto sul nome di Marini), si passa da una strategia esclusiva che, pur di ricompattare il partito, mira ad eleggere con i soli voti del centrosinistra un proprio rappresentante al Colle (Romano Prodi), anche se dichiaratamente inviso a PDL e Lega, e senza ricercare un minimo di condivisione con gli altri gruppi parlamentari (ad eccezione di Sel).

La sorpresa dell’aula La terza votazione passa velocemente gli archivi con un nulla di fatto come la seconda: prevalenza di schede bianche (oltre 400). Alle 18 e 30 minuti si chiude anche il quarto scrutinio, con un risultato clamoroso. Su 496 voti potenziali su cui poteva contare il centrosinistra (PD-Sel), Prodi ne raccoglie solo 395, con ben 101 franchi tiratori. Il partito di Vendola si chiama fuori, affermando che tutti i suoi rappresentanti hanno votato per Prodi, e rivelando che le proprie schede sono state contrassegnando con la scritta “R.Prodi”. Un modo per dire al PD: cercate i traditori a casa vostra. E Bersani ne prende atto, quando afferma, annunciando le proprie dimissioni dopo la partita del Colle: «Uno su quattro tra noi è un traditore».

Dove sono finiti i voti dei democratici dissidenti?Una metà è confluita su Rodotà (che ha raccolto 213 preferenze, 51 in più rispetto ai 162 potenziali del M5S) e l’altra metà si è dispersa fra le schede bianche (15) ed altri candidati (fra i quali 15 a D’Alema, 3 a Marini e 2 a Napolitano). Emblematica e provocatoria la scheda votata con l’indicazione “Massimo Prodi”.

Al terzo posto, dietro Prodi e Rodotà, c’è Anna Maria Cancellieri, il Ministro dell’Interno del governo Monti, che raccoglie 78 voti, 9 in più rispetto ai rappresentanti di Lista Civica (assente Valentina Vezzali per maternità), provenienti dagli esponenti del gruppo misto della Camera.

Il bivio E adesso cosa accadrà? Rodotà, Cancellieri o chi altro? Per un PD a pezzi è ormai una partita ad handicap: sia che scelga di votare Rodotà (cedendo al M5S e convergendo sul suo candidato), sia che si orienti sulla Cancellieri o su di un altro candidato di valenza istituzionale, deve abdicare dal suo ruolo di primo partito con diritto di iniziativa nella proposizione della rosa di nomi. E Monti l’ha capito, recuperando una centralità nell’azione politica: in serata ha incontrato Berlusconi, al mattino del giorno dopo incontrerà Bersani, proponendo ad entrambi una convergenza sul nome della Cancellieri.

Una chiosa a margine Le persone non sono oggetti da usa-e-getta. I partiti non possono utilizzarle quali armi improprie per le proprie guerre intestine finalizzate alla conquista ed al mantenimento del potere. Tanto Marini quanto Prodi non si sono autocandidati alla presidenza della Repubblica. Avrebbero meritato maggiore rispetto, per le proprie storie personali, da parte di quanti li hanno tirati in ballo loro malgrado, per finalità di basso profilo. Una brutta storia.

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