Quanto tempo per una visita?

Ottocento milioni di byte l’anno per ciascun abitante del pianeta, un’imponente massa d’informazioni. Di queste moltissime riguardano la salute. E siamo ancora all’inizio. Abbiamo un vantaggio informativo che paghiamo con uno svantaggio comunicativo. Sono in continuo aumento, infatti, le lamentele dei pazienti per la fretta che caratterizza il loro rapporto con il medico. E di questo invece sentono il bisogno, se è vero, come sembra, che la malattia, la povertà, la solitudine sono le paure che vivono il 75 per cento degli 886 intervistati recentemente da esperti di psico-somatica. Il medico, d’altro canto, è sempre più oberato dall’aumento delle pur utili tecnologie applicate alla medicina e dalle incombenze burocratiche che, nel caso del medico di famiglia sono asfissianti. Se poi si è costretti al ricovero, il nuovo sistema di rimborso, il famigerato Drg americano, richiede tempi rapidi, quasi completamente spesi per le varie indagini (Tac, endoscopie, test dinamici, analisi, ecc.) talvolta utili più per aumentare il valore del rimborso da parte dello Stato che per giungere ad una diagnosi precisa. Insomma la medicina, nel suo progressivo processo di tecnologizzazione, rende sempre più difficile questo dialogo col malato, indispensabile per una esatta valutazione del singolo caso. Per verificare l’impatto di questa problematica, Arch of Internal Medicine ha reso noto i risultati di una inchiesta volta a valutare se la percezione del paziente del tempo passato con il medico nel suo studio o in ospedale è determinante per la sua soddisfazione. La conclusione è stata che il minor tempo dedicato dal medico nella visita diminuisce la soddisfazione sia di quest’ultimo, sia del paziente; riduce l’efficacia della cura; induce inappropriata prescrizione della stessa, con accresciuto rischio di imperizia. Può accadere inoltre che la fretta del medico si scontri drammaticamente con le esigenze psico-affettive di un paziente molto preoccupato per la sua salute. Ci si chiede a questo punto se c’è un tempo ottimale per un dialogo che risulti soddisfacente ed efficace. La risposta è difficile e varia col variare di tanti fattori, come: la natura della malattia e la personalità del malato, il linguaggio e la sua comprensione, il clima culturale nel quale si svolge il colloquio. Per esempio, un conto è curare la bronchite ad un giovane indenne da pregresse malattie, un altro in un paziente sottoposto a chemioterapia. In linea di massima si può ipotizzare che mezz’ora sia un tempo ragionevole. Ma può il medico oggi, con i suoi impegni di aggiornamento e di necessario dialogo con i suoi colleghi, con le sue incombenze burocratiche riuscire a trovarlo? Così come vanno le cose oggi ciò è difficile, se non impossibile. Bisogna pertanto che la medicina contemporanea cerchi altre vie, se vuole trovare una dimensione socialmente utile. Una di queste potrebbe essere un uso maturo dei media, sia nei rapporti con i vari colleghi, sia con il singolo paziente. Una strada, questa, ancora in costruzione.

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